Il vescovo Ghirelli si racconta

Ospite a Radio InBlu ha parlato della sua vocazione e della diocesi di Imola

Sabato 24 e domenica 25 febbraio il vescovo di Imola, Tommaso Ghirelli, è stato ospite di Radio InBlu, emittente di ispirazione cristiana. È stato invitato all’interno del programma Pastori, una serie di interviste realizzate da Sergio Valzania che di settimana in settimana incontra i vescovi italiani nel tentativo di far conoscere le realtà ecclesiali del nostro paese. Nel dialogo con le guide delle diocesi viene tratteggiato lo stato attuale della Chiesa italiana.
Nell’occasione Ghirelli ha raccontato della sua vita personale nell’intervista andata in onda sabato, mentre ha riflettuto sulla diocesi imolese in quella di domenica. Molto spesso si vede il vescovo come un’autorità per quanto riguarda la vita religiosa e civile della città. Celebra messa dietro l’altare o presenzia a cerimonie pubbliche. Ma quanti conoscono la sua storia? Chi sa come si è sviluppata la sua vocazione? Questa rubrica indaga anche gli aspetti privati dei sacerdoti i quali, di fronte al giornalista, si raccontano in una chiacchierata amichevole.
Una vocazione per il mondo del lavoro
I primi anni trascorsa nella provincia di Forlì con la famiglia e poi quell’autobus da prendere tutti i giorni per frequentare il liceo classico. Il primo salto importante è l’entrata in seminario a 16 anni, a Bologna, «in un seminario particolare, quello che preparava i cappellani del lavoro, infatti il mio ministero si è sempre sviluppato nell’ambito della pastorale del lavoro, non sono mai stato parroco a tempo pieno».
Ma come si è sviluppata la vocazione: «Fin da bambino me lo sentivo. C’è stata la vita nell’Azione Cattolica, i campi scuola e i ritiri spirituali. Poi i parroci e gli altri sacerdoti. Mia madre stessa, che sapeva che avevo questa idea dentro di me, qualche volta mi poneva il tema. Il seminario ha consolidato la vocazione e in particolare questo apostolato che oggi si potrebbe definire “missionario”, al tempo non ci si pensava ma veniva chiesto di andare noi verso le persone e non viceversa». Così la visita settimanale nelle fabbriche e l’impegno di seguire una componente fondamentale della vita cittadina: i lavoratori.
Chiudendo il capitolo del lavoro uno sguardo al bisogno che emerge oggi: «Occorre ritrovare il senso del lavoro, sia quello organizzato e aziendale, sia quello che è espressione della creatività della persona e che si realizza in relazioni con gli altri».
La prima puntata si è conclusa con l’ammissione di un piccolo rimpianto. Essendo direttore di un istituto bolognese Ghirelli non ha mai fatto il parroco a tempo pieno. «Un po’ mi è mancato, specialmente quando sono diventato vescovo ho sentito la mancanza di essere stato parroco e ho sentito il venir meno della compagnia con i giovani, perché al tempo avevo una quarantina di ragazzi con cui condividevo gran parte del mio tempo. Tuttavia nella chiesa ci sono tanti ministeri, tante esperienze diverse, quella della parrocchia è la più completa ma non l’unica».
Riguardando ai quindici anni di episcopato nella diocesi di Imola ha individuato nella figura di papa Francesco una svolta, una accelerazione per quanto riguarda molti temi: su tutti «il primato dei poveri e la compito missionario del cristiano».
La sperimentazione delle unità pastorali
Nella seconda puntata l’analisi dello stato della diocesi imolese. Il territorio è stato oggetto di una sperimentazione: il raggruppamento delle parrocchie in unità pastorali.
«La nostra diocesi ha una prevalenza di parrocchie piccole e i centri abitati hanno medie dimensioni. In più  le campagne si sono in parte svuotate e questo ha comportato l’aggregazione di molte parrocchie. Il tutto in un contesto nazionale di calo del clero. Abbiamo cercato di creare le unità parrocchiali senza eliminarle ma integrandole, facendo in modo che lavorino insieme. Io cerco di non affrettare i tempi e lascio che sia una cosa fisiologica. Ad esempio alcune piccole parrocchie hanno scelto di venire a celebrare la Cresima nella cattedrale: ho scoperto che è stata per loro un’occasione per scoprirsi e conoscersi meglio. Il coro era formato da elementi di più parrocchie, la gente era numerosa e aveva realizzato una celebrazione intensa e festosa… uscendo da questa piccola dimensione ne hanno tratto beneficio tutti». Da qui il ruolo fondamentale dei laici che vengono necessariamente responsabilizzati. Il parroco non è più quello che provvede a tutto e quindi c’è bisogno di alcune figure, adeguatamente formate, che aiutino i sacerdoti.
Alcune riflessioni anche sugli immigrati musulmani, con i quali a Imola si persegue «la strada del dialogo interreligioso che ci fa riscoprire la nostra fede. È un cammino comune che si fa con loro. L’attacco al Cristianesimo non arriva dai musulmani ma dalla secolarizzazione e dal laicismo».