Solennità dell’Epifania – cattedrale di Imola

Epifania è parola di derivazione greca che significa “manifestazione”, “apparizione”: di chi? Del Figlio di Dio ai popoli che ancora non lo conoscono. Notiamo subito un contrasto: i magi, astrologi venuti dall’Oriente in cerca del re di natura divina appena nato, sono pieni di gioia e fiducia; invece il re Erode e i capi religiosi di Israele si preoccupano e si agitano. La festa di oggi è pervasa dal fascino della scoperta, dal fascino del viaggio, dal fascino dell’esotico, certamente; ma, molto più in profondità, è pervasa dal presentimento di una gioia che soltanto l’incontro con Dio può comunicare. Con essa contrasta la tendenza ad escludere Dio, a fidarsi soltanto di se stessi.

In questa cattedrale, in questa assemblea, la festa odierna assume il volto di quattro giovani: uno riceve i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana – battesimo, confermazione ed eucaristia – gli altri la sola confermazione. In questo momento la Chiesa, della quale facciamo parte, eredita le promesse fatte ai patriarchi e vede realizzarsi le antiche profezie riguardanti il popolo di Dio. Essa diventa punto di attrazione, di convergenza, centro di unità per l’umanità intera, la quale possiede – pur nella molteplicità dei popoli e delle loro storie – un unico destino. Ci rallegriamo quindi con questi nostri fratelli, i quali entrano a far parte pienamente della comunità cristiana. Non vogliamo dimenticarli, dopo questa celebrazione, né guardarli con un filo di diffidenza, ma impegnarci con loro a far crescere la conoscenza vicendevole e, con la conoscenza, l’affetto tradotto in sodalizio di opere buone. C’è tanto bisogno di integrazione, di solidarietà, di vicinanza, di cura! Essi, da parte loro, non aspetteranno di essere richiamati per associarsi con altri nel coltivare la loro fede e aggregarsi ad iniziative comunitarie.

Un altro contrasto appare nelle letture di questa liturgia: da una parte, il profeta Isaia vede una “nebbia fitta” che “avvolge le nazioni”; dall’altra, la luce che risplende sulla città di Gerusalemme, posta in alto. Quella luce si concentra poi nella stella individuata dagli astrologi orientali e interpretata dalla tradizione cristiana come simbolo del Messia. In un libro dell’Antico Testamento, detto dei Numeri, si legge che una popolazione ostile al popolo ebraico assoldò un indovino di nome Balaam perché maledicesse gli Ebrei; ma egli – sotto l’influsso dello spirito di divinazione – fu suo malgrado costretto a pronunciare una benedizione, vedendo sorgere in un lontano futuro una stella – segno di un essere d’origine celeste – sulla tribù di Giuda. Nelle tenebre, che rappresentano uno stato d’animo diffuso in mezzo alla gente, vediamo dunque splendere una luce: il bambino Gesù, con i segni di una regalità non mondana ma spirituale. Non ci è più consentito ricadere nell’ansia, nella paura, ma ci sentiamo chiamati ad entrare definitivamente nella speranza e nella gioia. Il contrasto tra luce e tenebre indica lotta, travaglio, ma soprattutto possibilità di successo, speranza, fiducia.

I problemi sociali urgenti, da cui siamo assillati – in particolare quello dei profughi e più in generale quello dell’accresciuta mobilità umana, che porta i popoli a mettersi in marcia – non perdono la loro concretezza e drammaticità, ma alla luce della manifestazione del Signore si chiariscono. Diventano governabili, rivelano aspetti positivi, insieme a quelli problematici; provocano l’attivazione di risorse umane insospettate e l’impiego di esse per il bene comune.

San Paolo e l’intera prima generazione cristiana trasmettono anche agli uomini di oggi la consapevolezza da loro raggiunta: con la nascita di Gesù Cristo, una nuova fase della storia dell’umanità è iniziata, il progetto di Dio – “il mistero” – è stato manifestato. Esso concerne tutti i popoli, «chiamati in Cristo Gesù a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo». L’incontro e la mescolanza dei popoli non sono in sé una male, anzi corrispondono alla natura e al desiderio di noi essere umani, che riconosciamo di essere fatti per trattarci da fratelli, non da estranei o peggio da nemici. Ad una condizione: che questo meticciato componga il volto di un unico uomo, Gesù Cristo.

La festa dell’Epifania libera dalla diffidenza e dalla paura, nel momento stesso in cui annuncia e anticipa un cammino convergente dell’umanità verso la persona di Gesù Cristo e verso la sua Chiesa. Proseguendo ora la celebrazione, sentiamoci tutti coinvolti e beneficati.