Dodicesimo anniversario della morte di don Luigi Giussani – cattedrale di Imola
Rivolgo un saluto particolare alla Fraternità di Comunione e Liberazione qui convenuta per ricordare nella Messa il 12° anniversario del passaggio alla vera vita di don Luigi Giussani. Egli continua ad accompagnare il cammino della Chiesa che ha servito come prete della diocesi di Milano, con un carisma riconosciuto dalla santa sede. Possiamo pensare anzi che il suo cuore – potenziato dalla piena e definitiva adesione al Signore – sia vicino a ciascun membro della fraternità da lui iniziata.
Che si debba amare il prossimo è fuori discussione, ma sembra urtare contro l’amore a se stessi. La Scrittura non contrappone, ma congiunge: il testo potrebbe essere reso così: «Amerai il tuo vicino come un altro te stesso». Per fare posto all’altro, debbo stringermi, ma non mi è chiesto di annullarmi. Inoltre, «Primum non nocere»: è già tanto evitare di fare del male al prossimo, anche quando se ne è ricevuto. È possibile rinunciare a fare del male solo prendendo esempio da Dio stesso, «buono e grande nell’amore» (Salmo responsoriale). Appare infatti arduo rinunciare alla vendetta, che sembra una forma di difesa e contemporaneamente una ricerca di giustizia, mentre in realtà è un atto di debolezza; nuoce anzitutto a chi lo compie.
«Siate voi dunque perfetti…»: conclusione in linea con quanto precede, corrispondente al desiderio del cuore umano. Verrà facilmente ritenuta poco realistica e quindi fuorviante – chi può aspirare a diventare come Dio? – ma in realtà è l’unica strada percorribile. Dio infatti ci ha resi immeritatamente suoi figli e ora “noblesse oblige”. Il dono, come la luce, deve rifulgere; non possiamo comportarci se non da figli di Dio e quindi da fratelli tra noi. Non si tratta solo di evitare le scorrettezze o, più profondamente i sentimenti cattivi che possiamo avvertire in noi, ma di fare nostro il modo di pensare e di agire di Dio, così da assomigliargli realmente. Ora, la perfezione di Dio sta nel suo amore, che è gratuito, generoso, universale, tanto che non fa differenze neppure tra i giusti e gli ingiusti, tra i buoni e i cattivi.
Le parole di Gesù non vanno prese né come regole da osservare rigidamente né come paradossi (esempio: porgere l’altra guancia), ma come una mentalità da assumere.
Dentro il disegno universale di salvezza c’è spazio per una sconfinata creatività, c’è per ognuno una vocazione originale propria. La si scopre superando se stessi, nei momenti cruciali. Come quell’uomo che ho conosciuto l’altro ieri: avendo perso la moglie ancora abbastanza giovane, ha deciso di non cercarsi un’altra compagna e di dedicarsi nel tempo libero al trasporto dei malati, con i quali si intrattiene volentieri e che – dice – gli danno tanto.
È scritto nel catechismo degli adulti: «Al di là dei comandamenti, che valgono per tutti, ci sono gli appelli personalizzati che Dio rivolge ai singoli nelle diverse situazioni concrete… Nell’uscire da sé e nel donarsi secondo la dinamica esigente della carità, l’uomo trova la vera realizzazione di sé» (p 434).
Molti non pensano, anzi non sanno di essere figli del Padre che è nei cieli, per usare l’espressione della preghiera insegnataci da Gesù. Ripetono le parole di questa preghiera intendendole in senso ampio, metaforico, mentre Dio ha infuso veramente in essi il suo Spirito, li ha resi veramente suoi figli, sicché nel fondo del loro animo è presente questa consapevolezza. Essa però si risveglia sotto il calore del sole divino, cioè della grazia, mediata dalla Parola che viene ascoltata e soprattutto dagli esempi che si ricevono. Così, tante persone hanno sperimentato la figliolanza divina mentre venivano accolti nella Fraternità di Comunione e Liberazione, diventando a loro volta capaci di accogliere.
La testimonianza resa dalla gente della Bassa imolese nel periodo dell’occupazione nazista e poi delle vendette partigiane, riferita ieri da Marcello Verlicchi in modo incisivo durante la presentazione del suo libro “Resta con noi perché s fa sera”, merita di essere portata come esempio di grazia efficace: hanno subito la violenza degli uni e degli altri, stringendosi attorno ai loro preti, continuando a frequentare la chiesa. Sono rimasti al loro posto. In seguito, anche quando il potere è passato ad altri, non si sono vendicati.