Mercoledì 24 ottobre, all’ospedale Santa Maria della Misericordia a Perugia, è tornato alla casa del Padre il vescovo Pellegrino Tomaso Ronchi, emerito di Città di Castello. Nato il 19 gennaio 1930 a Riolo Terme, rimasto orfano di padre in tenera età, riceve i sacramenti dell’Eucarestia e della Cresima in parrocchia a Riolo, sotto la guida della catechista Clara Sangiorgi. Entrato nell’ordine dei Frati minori cappuccini, nel 1953 viene ordinato sacerdote a Faenza. A Riolo celebra solennemente la prima santa messa, assistito da don Pietro Mongardi, secondo cugino e fraterno amico, che era diventato prete l’anno prima. Dopo l’ordinazione i superiori inviano padre Pellegrino alla Pontificia università urbaniana di Roma, dove ottiene la laurea in diritto canonico. Per un periodo insegna al seminario dei cappuccini di Bologna. Nel 1960 l’inizio della sua esperienza missionaria: prima nella prelatura territoriale di Lucknow in India, fino al 1972, dove conosce madre Teresa di Calcutta e le missionarie della carità, delle quali diventa confessore. Nella diocesi di Lucknow ricopre i ruoli di segretario del vescovo (per questo accompagnerà il vescovo al Concilio Vaticano II) e di vicario generale. Poi parte per il Kambatta-Hadya in Etiopia, dove rimane per qualche mese. Nel 1972 la congregazione per l’evangelizzazione dei popoli lo sceglie come rettore maggiore del collegio di Propaganda Fide a Roma, incarico che mantiene per 12 anni, fino alla nomina a vescovo di Porto-Santa Rufina nel 1984. Il 6 gennaio 1985 è consacrato vescovo nella basilica di San Pietro dal papa San Giovanni Paolo II, presente don Vincenzo e una delegazione di riolesi. Nonostante gli impegni, monsignor Ronchi rimane sempre legato a Riolo Terme, dove più volte viene per celebrare le Cresime, per presiedere la processione della Madonna delle feste di maggio, o per passare periodi di vacanza presso i famigliari. Rimane sempre unito con una profonda amicizia spirituale a padre Guglielmo Gattiani di Faenza, frate cappuccino suo direttore spirituale. Nel 1991 viene nominato vescovo di Città di Castello, in provincia di Perugia. In questa diocesi è ricordato per la sua disponibilità ad essere prossimo con tutti (era facile vederlo passeggiare per Città di Castello, incontrando le persone), per aver dato impulso a varie attività pastorali e caritative. Nel 2007 rinuncia per raggiunti limiti di età, continuando a vivere nel palazzo vescovile insieme al successore, monsignor Domenico Cancian, che lo accoglie fraternamente. Da qualche tempo le condizioni di salute si erano aggravate ed avevano reso necessario il ricovero presso l’infermeria dei frati cappuccini a Perugia, dove l’anno scorso è stato visitato da don Marino.
Venerdì 24 ottobre una delegazione di riolesi ha partecipato ai funerali nella cattedrale di Città di Castello, ascoltando l’omelia commossa e profonda di monsignor Domenico Cancian. Caro padre Pellegrino, grazie per la tua testimonianza di fede. Il Signore Gesù, al quale hai donato la tua vita, ti doni la ricompensa promessa ai suoi servi fedeli. La Madonna del Santo Rosario e San Francesco, del quale sei stato un fedele figlio, ti accolgano in Paradiso.
Il ricordo del vescovo: «Accogliente e affettuoso, ora prego per lui»
Anche quando si tratta di una persona anziana, la morte coglie sempre un po’ di sorpresa chi la conosceva, perché non si vorrebbe affrontare il distacco e il grande interrogativo dell’aldilà. Eppure, con il salto nelle braccia di Dio che implica, la fede aiuta potentemente a cogliere la continuità tra la vita terrena e la vita eterna. Gli ultimi dieci anni della vita terrena di monsignor Pellegrino Ronchi sono trascorsi nel nascondimento, ma non dovrebbero o non avrebbero dovuto allontanarlo dall’affetto della Chiesa particolare che lo annovera tra i suoi figli. In realtà, soltanto i suoi amici e i parrocchiani di Riolo sono rimasti in contatto con lui, mentre le sue forze e la sua lucidità declinavano. Provai ammirazione per il fatto che il suo successore, monsignor Domenico Cancian, lo aveva tenuto presso di sé in vescovado a Città di Castello, ma non feci caso al suo trasferimento nell’infermeria dei cappuccini di Perugia, indice dell’aggravamento delle condizioni di salute. Ora lo rimpiango, mentre rimango grato a monsignor Pietro Mongardi e a don Antonio Cavina che mi condussero con sé a Città di Castello in una delle loro periodiche visite all’illustre compaesano ed amico.
Durante le assemblee annuali dei vescovi, prima del 2008, incontravo “Padre” Pellegrino, che mi si mostrava sempre molto accogliente e affettuoso. Ma si trattava di incontri affollati, che non favorivano il formarsi di una frequentazione. Non ebbi quindi la possibilità di farmi raccontare da lui – come avrei desiderato – la sua esperienza missionaria, né la sua amicizia con padre Guglielmo Gattiani, che anch’io conoscevo e avevo un po’ frequentato. Ora sento di avere un motivo in più per colmare, con la liturgia della Chiesa universale e la preghiera personale, quel rapporto che non sono riuscito a sviluppare finché lo avevo maestro e fratello in seno all’episcopato.
Mons.Tommaso Ghirelli