Intervista al presidente della Cei, ospite in seminario venerdì 15 alle 20.45 in una lezione per discutere del riassetto delle parrocchie del nostro territorio.
“La comunità parrocchiale, riferita a uno specifico territorio e arricchita di tutti i carismi che lì convergono, resta la via privilegiata dell’annuncio del Vangelo”, così lei ha detto il 10 novembre scorso. Perché, nell’evoluzione pastorale a cui assistiamo oggi, vale la pena parlare ancora di parrocchia?
La parrocchia, come ribadisce Francesco nell’Evangelii Gaudium, “non è una struttura caduca” ma ha una “grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità”. Certamente, come ha scritto il Papa, non è “l’unica istituzione evangelizzatrice” ma se è “capace di riformarsi e adattarsi costantemente” alle sfide del tempo “continuerà ad essere la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. L’intuizione di una comunità legata ad un territorio, verso cui indirizzare la propria azione missionaria e di servizio, rimane validissima, anche se deve trovare forme rispondenti all’evoluzione demografica e sociale delle nostre terre.
Intervistato sul sinodo dei giovani ha affermato: “Bisogna fare di più: cambiare mentalità” (27 ottobre 2018). Come crede che anche nel pensare e vivere la pastorale delle parrocchie siamo chiamati allo stesso “di più”?
Credo che il cuore della questione sia stato ben identificato nell’Evangelii Gaudium, quando invita ogni credente ad “abbandonare il comodo criterio pastorale del ’si è fatto sempre così’. Non dobbiamo rinchiuderci nelle abitudini o peggio ancora nelle comodità. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità”. Il “di più” sta nel cambio di mentalità, il quale non implica per forza fare iniziative diverse, ma esige di attuare ogni cosa con diversa consapevolezza.
“Una rete di relazioni che recupera il senso della comunità”: sono parole sue, nell’introduzione all’ultima assemblea Cei dell’autunno scorso. Su quali punti la parrocchia è chiamata oggi a riflettere e lavorare per assumere questa fisionomia?
Soprattutto l’accoglienza, in modo che quando una persona entra in contatto con la comunità cristiana o uno dei suoi membri, percepisca non il giudizio o la chiusura, ma la benevolenza e l’empatia. In Italia, infatti, sono ancora molte le occasioni che portano la gente a contatto con la Chiesa: funerali, matrimoni, battesimi, percorsi catechistici dei figli, manifestazioni della pietà popolare… Trovare una comunità realmente accogliente può fare la differenza e innescare la possibilità di riavvicinamenti e ricominciamenti.
La nostra Assemblea diocesana lavorerà su tre ambiti: la parrocchia come luogo di spiritualità, comunione e missione. Quale dei tre sta più a cuore a papa Francesco in questo momento di vita della Chiesa?
Difficile fare una scelta, anche perché si tratta di tre dimensioni coessenziali nella vita di una comunità cristiana. Personalmente, metterei l’accento sulla missione, perché essa aiuta a ripensare anche gli altri due ambiti, verso una spiritualità non autocompiaciuta, ma che conduca al dono di sé; verso una comunione non salottiera, ma che proietti la Chiesa verso il mondo.
In ogni diocesi la cura pastorale è prima di tutto dei Vescovi come guide del popolo loro affidato. Cosa è chiamato a fare il vescovo oggi secondo papa Francesco e quali sono i criteri che devono guidare le sue scelte?
Papa Francesco ha più volte ripetuto l’esigenza di essere pastori, non funzionari. Parlando ai preti di Roma, ha usato in proposito una bella immagine: “Camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita”. Ciò vale soprattutto per i vescovi: sentirsi ed essere a servizio del cammino del popolo di Dio, stando in mezzo alla propria gente con umiltà e gioia: l’umiltà del pastore e la gioia del credente.