Un primo bilancio dell’assemblea diocesana che si è tenuta lo scorso 24 febbraio a Montericco: “Un tema trasversale è stato messo in luce da tutti gli ambiti: la centralità di un’Eucarestia partecipata”
Non è stato semplice tracciare subito, immediatamente dopo l’ascolto delle relazioni dei lavori dei sei gruppi, una sintesi di quanto emerso nel corso dell’assemblea diocesana. Rispondere cioè alla domanda: quali consapevolezze o punti di non ritorno emergono se si ascolta il popolo di Dio in ordine al riassetto pastorale della diocesi a partire dalle parrocchie?
Ho inteso fare tre piccole premesse. La prima è una cosa che ho sentito dire quando mi sono fermato in uno dei gruppi durante il dialogo: “Quando non si comunicano delle idee ma delle esperienze crescono i rapporti fra le persone, nessuno viene escluso e la cosa diventa missionaria sia perché altri vengono coinvolti, sia perché si cerca di rivivere quell’esperienza anche al di fuori del contesto originario”. L’esperienza dell’assemblea, nella quale mettere in circolo le esperienze, è stata luogo in cui i rapporti sono cresciuti. Ed è la cartina tornasole di come ci siamo presentati, di come abbiamo preso la parola.
Seconda premessa è che ascoltandoci gli uni gli altri abbiamo toccato con mano la creatività della nostra Chiesa. Su questo ci aveva detto il cardinale Bassetti la sera di venerdì 15: “L’evangelizzazione implica l’esercizio della creatività”; l’aveva declinata come “tensione a ridire il deposito della fede con modalità rinnovate”: creatività come tensione, tensione come vitalità; e l’aveva collocata in un ampio orizzonte, quello della “moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: Voi stessi date loro da mangiare (Mc 6,37; EG 49)”.
Terza ed ultima, ci siamo accorti di come l’impostazione di metodo sia decisiva. Che se quando parliamo non usiamo il “si dovrebbe” o, ancor peggio, il “loro dovrebbero” ci mettiamo nell’ordine di idee di accendere il nostro io, di domandarci: io cosa sto facendo? Io cosa sto vivendo? E allora si può fare una sintesi, nel senso di costruire qualcosa.
Abbiamo ascoltato le relazioni dei sei gruppi, le relazioni sui tre ambiti di lavoro. Ci è stato detto che la parrocchia è luogo di spiritualità quando la spiritualità coincide con un profondo incontro con Cristo: è lui la spiritualità della parrocchia. È in lui che si potrà maturare un vero occhio di riguardo nei confronti delle persone, perché l’attenzione alle diversità ha la ragione in lui che vuole incontrare tutti, essere celebrato da tutti quelli che condividono la vita liturgica e spirituale della parrocchia.
Nell’ambito della parrocchia come luogo di corresponsabilità e comunione una persona ha parlato di “consapevolezza vocazionale”. È forse questa sinteticamente l’espressione che più si addice ad un sintesi dei lavori. Con questa espressione infatti non si identifica solo la multiforme varietà dei compiti e dei ruoli, ma anche e soprattutto l’origine di ognuno di essi, cioè la scelta e la chiamata da parte di un Altro. In questo modo si rompe la solitudine del proprio agire per il bene della comunità e si scopre un dono che già ci è stato fatto, quello della comunione. La comunione non è essenzialmente qualcosa da realizzare artificiosamente, ma una realtà da scoprire perché per fede sappiamo che Cristo ce l’ha già donata nel momento in cui ci ha chiamati ad essere Chiesa.
Infine si è parlato della parrocchia come luogo di missione, solo se e quando è in grado di diventare “luogo significativo”, luogo cioè in cui portare le domande e le provocazioni della vita in cerca di risposte che siano all’altezza della vita stessa. Luogo significativo in cui mi accorgo che la fede è “un dono per l’esistenza concreta dei singoli e delle comunità” (così ci ha detto il cardinale Bassetti). Luogo di una letizia contagiosa, per l’intuizione e lo stupore di una risposta possibile. Dalla parrocchia come luogo significativo può partire la spinta a rendere significativi tutti i luoghi del vivere quotidiano: la famiglia, lo sport, il luogo di lavoro, il tempo libero. C’è una gran fame di significatività nei luoghi in cui ognuno vive la sua quotidianità.
Non si potrebbe concludere senza accennare ad un tema fondamentale che è stato messo in luce in tutti gli ambiti. Una sorta di consapevolezza trasversale. Forse la cosa di cui non possiamo fare a meno nella maniera più assoluta. La centralità dell’Eucaristia. Di Eucaristia partecipata, perché c’è bisogno che Dio non manchi. Eucaristia vissuta, perché Cristo ha qualcosa per la mia vita.
Due domande sono state fatte. Una è che fine abbia fatto l’instrumentum laboris precedente, quello che nell’autunno scorso era passato nei vicariati e nelle comunità. Il giudizio su questo strumento, che doveva avere la funzione di aiutare il dialogo, era stato chiaro: non aiuta il confronto. Per questo non dobbiamo attenderci che il frutto dell’assemblea diocesana sia quella bozza di instrumentum laboris. E qui viene la seconda domanda: cosa viene dopo l’Assemblea? Si lavorerà – come anche il Vescovo ha detto nel suo saluto – su tutto quello che è emerso, nella chiarezza degli obiettivi e nella distinzione dei ruoli. Una cosa è certa: se abbiamo la consapevolezza che la Chiesa è del Signore, avremo da stupirci di quello che lui potrà fare. Esattamente come gli rendiamo grazie per l’esperienza dell’assemblea che abbiamo vissuto insieme.
Don Paolo Ravaglia