Cari fratelli nel sacerdozio ministeriale e cari fedeli, questa messa nella quale, a poche ore dall’inizio del triduo pasquale, si benedicono gli oli sacri, connette la passione e risurrezione del Signore con i sacramenti che ne prolungano l’efficacia nelle persone, lungo i secoli e nelle diverse culture. Nello stesso tempo, fa emergere il senso della consacrazione delle persone e delle cose mediante l’olio benedetto: esso simboleggia l’azione intima dello Spirito Santo, che tonifica e profuma consacrando a Dio e al bene, mentre sottrae al mondo del male. Don Augusto Bergamini, noto studioso di liturgia, definisce la messa crismale “epifania della Chiesa”. Lo stupore unito a gioia e timore in questo momento ci pervade e ci rende consapevoli di essere stati convocati a vivere un’esperienza straordinaria.
“Lo spirito del Signore è su di me”: a somiglianza di Gesù, tutti noi qui presenti siamo stati consacrati per compiere una missione che ci coinvolge, assorbe e caratterizza fino nelle fibre più profonde, facendo di noi il prolungamento di Gesù che rigenera, che rianima, che rende fecondi. Da una parte, tutti i cristiani ricevono nella iniziazione cristiana lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, la vitalità spirituale, la profezia del regno di Dio; dall’altra, alcuni tra loro vengono scelti dal Signore per essere tramite delle diverse forme di consacrazione operate dallo Spirito Santo. I ministri della Chiesa non costituiscono una casta, anche se sono portati a sostenersi vicendevolmente e vivono una duplice fraternità: quella dei diaconi e quella dei presbiteri attorno al vescovo. I vescovi a loro volta costituiscono un collegio che dà continuità al gruppo degli apostoli scelti personalmente da Gesù. Come unico sacerdote che rimane in eterno, egli rende partecipi della sua intercessione e della sua offerta tutti i membri della Chiesa, collegandoli tra loro in modo che formino un corpo con membra diverse, tra loro connesse, da cui risulta l’unità. È bene ridirci che tanto i laici quanto i loro ministri e formatori, in quanto partecipano al sacerdozio di Gesù, consacrano a Dio tutta la creazione, tutta la vita. Così, non si finisce mai di stupirsi delle risorse spirituali di cui siamo dotati e di scoprire la ricchezza di doni soprannaturali presenti nella Chiesa, nella nostra diocesi, in ogni parrocchia, in ogni istituto religioso, in ogni aggregazione laicale. È ben vero che siamo portati più a rilevare i difetti e i peccati che le virtù e le opere buone, ma basta un minimo di riflessione per farci riconoscere la prevalenza del bene sul male: nonostante la sua virulenza, esso non prevale e non prevarrà.
Vi invito, cari presbiteri, a rinnovare con me e davanti a me le promesse sacerdotali, dando voce a tutto il popolo dei battezzati, ai quali presiediamo. Non vogliamo essere degli zelanti funzionari, dei diligenti amministratori, ma diventare sempre più ciò a cui senza nostro merito siamo stati chiamati: «forma gregis», modelli, coscienza unificante e traino dei fratelli in mezzo ai quali siamo stati posti (cfr 1 Pt 5,3). Così noi sosterremo loro ed essi a loro volta sosterranno noi, nella consapevolezza della fragilità umana e della necessità non solo della preghiera, ma anche della corresponsabilità, del consiglio, della correzione fraterna, del perdono.
Non possiamo non avere presenti in questa celebrazione i confratelli che, dopo averci preceduti e formati, sono stati chiamati al premio eterno. Li raccomandiamo particolarmente all’intercessione della Madonna del Piratello e di san Cassiano, nostro patrono. Cito un solo nome, a vent’anni dalla sua dipartita: don Angelo Ceroni, che concluse il suo generoso ministero missionario a Sao Bernardo, dopo avere retto la parrocchia di San Giacomo di Lugo, prima il seminario e prima ancora l’Azione Cattolica diocesana. Così abbiamo l’occasione per confermare, in questo momento solenne, l’impegno di aiuto che ci lega alla giovane chiesa di Santo André e più ampiamente al Brasile, attraverso i sacerdoti, le suore e i laici imolesi là presenti. Sappiamo bene che questo scambio tra chiese sorelle è la condizione perché la nostra diocesi rimanga giovane e sia attrattiva per i giovani.
Il Signore dilati i nostri cuori alla misura del suo e ci unisca nel suo amore, in modo che ci riempiamo di zelo e passiamo decisamente da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria.