Il testo che segue è la semplice condivisione di alcune impressioni, suggestioni e sollecitazioni elaborate dal vescovo Giovanni Mosciatti in questi primi tre mesi da pastore della nostra Chiesa, anche alla luce di quanto elaborato dall’assemblea diocesana del 24 febbraio 2019. Non deve essere considerata una lettera pastorale o un altro atto solenne di magistero episcopale, documenti che ancora oggi sono prematuri da pubblicare e che richiederanno tempi di elaborazione e modalità di condivisione assai più ampi. Si esprime gratitudine ai partecipanti all’assemblea diocesana per il prezioso lavoro svolto, si rileva la consapevolezza del nostro ricco e prezioso tessuto ecclesiale, la necessità di agire di fronte alla progressiva scristianizzazione delle nostre comunità, da vincere rilanciando la freschezza e la bellezza attuale dell’esperienza cristiana, l’urgenza di stabilire, rafforzare, moltiplicare rapporti e conoscenza reciproci, sia in ambito ecclesiale che civile, evitando il duplice rischio di concentrarsi solo sugli aspetti – pure indispensabili – di efficientamento delle strutture, per giungere a quella gioiosa unità di intenti, vita e sentire che il Cristo risorto ci invita ad esprimere per essere suoi credibili testimoni.


Carissimi,
domenica 24 febbraio 2019 si è celebrata nell’aula magna del seminario l’assemblea diocesana, convocata per riunire le realtà pastorali della Diocesi di Imola e riflettere insieme sul tema del riassetto pastorale diocesano, a partire dalle parrocchie. È doveroso ringraziare tutti coloro che a vario titolo hanno partecipato a questo evento. Pur non essendo stato presente ho potuto ricevere il dono delle testimonianze e dei frutti del lavoro. A tutte le realtà della Diocesi di Imola affido allora questi appunti, che accompagno con la stima e il ringraziamento a laici, singoli e aggregazioni, sacerdoti, diaconi e religiosi, per quanto hanno fatto, custodendo la giovinezza della Chiesa imolese nel servizio del Signore, per il bene della nostra gente. Prego la Vergine Maria, venerata con tanti titoli, tra cui quello di Madonna del Piratello e Madonna del Molino, i santi Cassiano, Pietro Crisologo, Ilaro e tutti i testimoni di Cristo, affinché portino a compimento quest’opera di rinnovamento della vita pastorale diocesana che è in atto. Il lavoro ha permesso a tutti di constatare che, sebbene con sottolineature diverse, esistono realtà vive e operose, che continuano a testimoniare la novità cristiana nel non facile contesto attuale di “cambiamento d’epoca”, che risveglia nuove e vecchie domande, con le quali è giusto e necessario confrontarsi. Tanti mi hanno testimoniato che nei gruppi di lavoro assembleari è prevalso un ascolto attento e interessato alle esperienze altrui, in un confronto libero e franco sulle difficoltà e fragilità presenti. Questo clima testimonia un cammino che si sta facendo, in cui la conoscenza reciproca è la prima pietra dell’unità ecclesiale. Nella Chiesa di Imola c’è un movimento creativo, vivo, dedito, generoso e diffuso. Lo si vede nel desiderio di vivere esperienze, di incontrarsi anche fuori dal proprio gruppo, una gratitudine nel vedere il cammino di fede e di vivacità ecclesiale. Oggi, tuttavia, dobbiamo riconoscere quanto sia doloroso constatare la crescente erosione e il decadimento della fede, con tutto ciò che questo comporta a livello non solo spirituale, ma anche sociale e culturale. Situazione che è visibile anche nella nostra terra con un calo forte della partecipazione alla Messa domenicale, nonché della vita sacramentale. Un deterioramento, certo, sfaccettato e di non facile e rapida soluzione, che chiede un approccio consapevole e ci spinge a diventare, dentro la storia presente, più coscienti di ciò che è essenziale. C’è una tentazione: il pensare che, di fronte a tanti problemi e carenze, la risposta migliore sarebbe riorganizzare le cose, fare cambiamenti e specialmente rammendi, che consentano di mettere in ordine e in sintonia la vita della Chiesa, adattandola alla logica presente. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nel suo intervento a Imola del 15 febbraio scorso ci ricordava che l’urgenza del cambiamento non può diventare uno schema da applicare, ma invece la valorizzazione di ogni piccolo passo che sta accadendo. Nella Evangelii gaudium papa Francesco ci esorta a passare da una vita della Chiesa atta a conservarsi ad una pastorale missionaria, capace di annunciare il Vangelo, così da sperimentare la gioia e la pienezza che il Risorto le ha promesso. Si tratta di una vera e propria conversione pastorale, un cambiamento di mentalità, dove la tensione all’annuncio del Vangelo diventa prioritaria rispetto alla conservazione dell’esistente e conferisce una forma nuova alla vita e all’azione della comunità ecclesiale e civile. Anche nei gruppi di lavoro della nostra assemblea è emersa la consapevolezza di questo cambiamento d’epoca che ci troviamo a vivere, non solo nei rapporti ecclesiali, ma nella stessa cultura e coscienza. La giovinezza della Chiesa non è nell’efficienza delle sue strutture o nella semplice capacità di adattamento ad una situazione mutata. Essa è piuttosto la capacità di ritornare continuamente alla sua fonte: la presenza di Cristo e la forza del suo Spirito ogni giorno. Per questo papa Francesco ci sollecita a “recuperare il primato dell’evangelizzazione per guardare al futuro con fiducia e speranza. L’evangelizzazione, così vissuta, è un cammino di risposta e conversione nell’amore a Colui che ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4,19); un cammino che rende possibile una fede vissuta, sperimentata, celebrata e testimoniata con gioia. L’evangelizzazione ci porta a recuperare la gioia del Vangelo, la gioia di essere cristiani. È indubbio, ci sono momenti duri, tempi di croce, ma nulla può distruggere la gioia soprannaturale, che si adatta, si trasforma e rimane sempre, almeno come un’esplosione di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amati, al di là di tutto” (v. Papa Francesco, Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, 29/6/2019, n.7). Nell’assemblea tanti hanno testimoniato l’importanza di essere il volto di Cristo risorto. Nella libertà delle forme e dei tentativi l’esperienza di una fede vera si regge dove Gesù Cristo è riconosciuto come esperienza che riaccade oggi. Per affrontare questa situazione la Chiesa suggerisce un itinerario sinodale, ossia camminare insieme con tutta la Chiesa sotto la luce, la guida e l’irruzione dello Spirito Santo, per imparare ad ascoltare e discernere l’orizzonte sempre nuovo che ci vuole donare. E la prima testimonianza è la nostra unità. Lo strumento più importante è l’unità fra più soggetti, una unità permanente, operativa. Imparare a conoscersi e a stimarsi è il motore che ci permette di leggere la realtà e di camminare insieme, con pazienza, con l’umile e sana convinzione che la Chiesa è e sarà sempre pellegrina nella storia, portatrice di un tesoro in vasi di creta (2 Cor. 4,7). Ci ricorda ancora il papa che “non siamo giustificati dalle nostre opere o dai nostri sforzi, ma dalla grazia del Signore che prende l’iniziativa. Ogni volta che la comunità ecclesiale ha cercato di uscire da sola dai suoi problemi, confidando e focalizzandosi esclusivamente sulle proprie forze o i propri metodi, sulla sua intelligenza, volontà o prestigio, ha finito con l’aumentare e perpetuare i mali che cercava di risolvere. Il Signore ci perdona e ci libera gratuitamente. Il suo donarsi sulla croce è qualcosa di così grande che noi non possiamo né dobbiamo pagarlo, dobbiamo soltanto accoglierlo con immensa gratitudine e con la gioia di essere amati così tanto prima di poterlo immaginare. La nostra missione non poggia su previsioni, calcoli o indagini ambientali incoraggianti o scoraggianti e neppure sui risultati positivi dei nostri piani pastorali. La nostra missione e ragione d’essere consiste nel fatto che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16)”. (Lettera al popolo di Dio, cit., n. 6). In un recente consiglio pastorale tanti di noi hanno testimoniato che la nostra vita è per trasmettere ciò che abbiamo ricevuto ed il Signore passa anche attraverso canali che noi non pensiamo. Ma occorre più disponibilità a rischiare momenti comuni. Anche nelle piccole scelte, se ci si mette insieme, le cose possono funzionare. L’unità pastorale, ad esempio, non può nascere a tavolino, ma da una esperienza, da una vita cercata e provata. Nella vita ecclesiale si nota più disponibilità a rischiare momenti comuni ed anche a farsi protagonisti di iniziative diverse e di momenti importanti, che non rimangono di una sola parrocchia, associazione o movimento, ma di tutti. In questo rischio di proposta concreta ed insieme si configura meglio il volto di una potenziale unità pastorale. Con gratitudine vogliamo guardare la nostra storia, questa rete così viva e capillare di comunità, parrocchie, oratori, scuole, strutture sociali che nel corso della storia sono testimonianza della fede viva che ha sostenuto, nutrito e vivificato il nostro popolo. Una fede che ha attraversato momenti di sofferenza, confronto e tribolazione, ma pure di costanza e vitalità e che si dimostra ancora oggi ricca di frutti in tante testimonianze di vita e opere di carità, con numerosi carismi e persone: laici, sacerdoti, religiose e religiosi che hanno svolto, in modo fedele e instancabile, il loro servizio e la loro missione in situazioni spesso difficili, anche in tante parti del mondo, e che hanno contribuito all’incontro con Cristo. Quanti santi della nostra terra, alcuni dei quali abbiamo conosciuto, ci testimoniano che questo cammino è possibile. Accogliamo allora la provocazione di papa Francesco, che nella Santa Messa di apertura del Sinodo sull’Amazzonia, tutt’ora in corso, così ci sollecita: “il dono che abbiamo ricevuto è un fuoco, è amore bruciante a Dio e ai fratelli. Il fuoco non si alimenta da solo, muore se non è tenuto in vita, si spegne se la cenere lo copre. Se tutto rimane com’è, se a scandire i nostri giorni è il “si è sempre fatto così”, il dono svanisce, soffocato dalle ceneri dei timori e dalla preoccupazione di difendere lo status quo. Ma in nessun modo la Chiesa può limitarsi a una pastorale di “mantenimento”, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale. Perché la Chiesa sempre è in cammino, sempre in uscita, mai chiusa in sé stessa. Gesù non è venuto a portare la brezza della sera, ma il fuoco sulla terra.” Di cuore vi benedico e vi chiedo di pregare per me.

X Giovanni Mosciatti, vescovo Imola,
24 ottobre 2019 Festa della Dedicazione della cattedrale di San Cassiano