Cattedrale di San Cassiano,
1/04/2021 – Giovedì Santo

Carissimi,

sono molto contento di poter celebrare con voi per la prima volta la S. Messa Crismale. Questa celebrazione per me è stata sempre un momento di grande gioia e di riposo. Si terminavano le benedizioni delle famiglie, ci si vedeva con tutti i fratelli sacerdoti e si celebrava insieme la bellezza della Pasqua, facendo memoria della grandezza della nostra vocazione.

In questa Santa Messa i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19). Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Lui e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini. Così, oggi, verremo interrogati singolarmente e ci verrà chiesto: “Volete unirvi intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a voi stessi e confermando i sacri impegni che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto liberamente verso la sua Chiesa?” Esprimeremo soprattutto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo un superamento di noi stessi mettiamo la vita a disposizione di un altro, di Cristo.

Nella Messa crismale del Giovedì Santo gli oli santi stanno al centro dell’azione liturgica. Essi, nelle loro diverse forme, ci accompagnano lungo tutta la vita: a cominciare dal catecumenato e dal Battesimo fino al momento in cui ci prepariamo all’incontro con il Dio Giudice e Salvatore. Sono proprio il segno della sua bontà e della sua grazia.

Infine, la Messa crismale ci parla di Cristo, che Dio ha unto Re e Sacerdote, che ci rende partecipi del suo sacerdozio, della sua “unzione”, nella nostra Ordinazione sacerdotale. Questo olio non è per profumare noi stessi e tanto meno perché lo conserviamo in un’ampolla, altrimenti l’olio diventerebbe rancido ed il nostro cuore amaro. Unti con il crisma del battesimo e della confermazione, tutti noi cristiani partecipiamo del “sacerdozio” di Cristo, alla sua carne consacrata al Padre e ai fratelli. E chi di noi ha ricevuto anche l’unzione per il ministero ordinato, sa di aver ricevuto una missione, di essere mandato a servire i fratelli.

Il vangelo ci dice che era di sabato, nella sinagoga di Nazareth, quando Gesù annuncia la sua missione ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi. Siamo noi i poveri ai quali Egli porta il lieto annuncio. Ci siamo scoperti forse ancora più poveri di quanto pensavamo. E siamo noi i prigionieri ai quali Gesù vuole offrire la liberazione: abbiamo vissuto alcuni giorni come se fossimo incatenati, sia per la restrizione nei movimenti, sia soprattutto per un peso nell’anima, che in questa quaresima si è fatto sentire. Alcuni di noi hanno sperimentato anche la fatica della quarantena. Siamo noi i ciechi ai quali Gesù promette la vista. Presi dalle cose da fare, dagli impegni, i nostri occhi sono spesso velati nei confronti di tanti drammi. Siamo noi, infine, gli oppressi che Gesù vuole rimettere in libertà. Abbiamo infatti toccato con mano che la nostra vita è vulnerabile come l’erba e il fiore del campo.

Ma Gesù dice di essere stato consacrato per “proclamare l’anno di grazia del Signore”. Lui può liberarci dalle nostre paure e debolezze, perché le attraversa. Proclama l’anno di grazia perché prima vive le nostre disgrazie e vi innesta un seme di speranza. Ci aspetta allora un “anno di grazia del Signore”: non sarà un anno facile, perché dovremo abituarci a mantenere le misure di precauzione, distanziamento, sanificazione. Ma se lo vivremo come anno di rapporto con il Signore e con i fratelli, di condivisione, di prossimità soprattutto a chi più fatica, sarà davvero un “anno di grazia”.

Nella Chiesa l’olio consacrato è stato considerato, in modo particolare, il segno della presenza dello Spirito Santo, che a partire da Cristo si comunica a noi. Quanto abbiamo bisogno di questo dono! Pensiamo alla prima comunità apostolica, che pure visse momenti di confinamento, isolamento, paura e incertezza. I discepoli, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano per paura, furono sorpresi da Gesù che «stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,19-22).

Anche oggi sentiamo questa paura ed incertezza. Tutti ascoltiamo i numeri e le percentuali che giorno dopo giorno ci assalgono; tocchiamo con mano lo smarrimento della nostra gente.

Abbiamo patito la perdita repentina di familiari, vicini, amici, di punti di riferimento della nostra fede, di confratelli. Abbiamo visto i volti sconsolati di coloro che non hanno potuto stare vicino e dire addio ai propri cari nelle loro ultime ore. Vediamo spesso la sofferenza e l’impotenza degli operatori sanitari che, sfiniti, si esauriscono in interminabili giornate di lavoro. Abbiamo ascoltato e visto le difficoltà e i disagi del confinamento sociale: la solitudine e l’isolamento soprattutto degli anziani; lo smarrimento di tanti giovani; l’ansia, l’angoscia e il senso di non-protezione di fronte all’incertezza lavorativa e abitativa; la violenza e il logoramento nelle relazioni. Abbiamo condiviso anche le angoscianti preoccupazioni di intere famiglie per la situazione economica.

Abbiamo sperimentato la nostra stessa vulnerabilità e impotenza. Frastornati da tutto ciò che accadeva, abbiamo sentito in modo amplificato la precarietà della nostra vita e degli impegni apostolici. L’imprevedibilità della situazione ha messo in luce la nostra incapacità e, come tutti, ci siamo sentiti confusi, impauriti, indifesi.

Sappiamo che in tali circostanze non è facile trovare la strada da percorrere, e nemmeno mancheranno le voci che diranno tutto quello che si sarebbe potuto fare di fronte a questa realtà sconosciuta. I nostri modi abituali di relazionarci, organizzare, celebrare, pregare, convocare e persino affrontare i conflitti sono stati modificati e messi in discussione. Nessuno può pensare di cavarsela da solo. Siamo tutti colpiti e coinvolti.

Sappiamo che dalla tribolazione e dalle esperienze dolorose non si esce uguali a prima. Dobbiamo essere vigilanti e attenti e soprattutto pronti a riconoscere la vita nuova che il Signore Risorto ci vuole donare. Sono diverse le tentazioni, tipiche di questo tempo, che non permettono alla speranza di stimolare la nostra creatività, la nostra capacità di risposta. Spesso ci troviamo difronte alla gravità della situazione cercando di risolverla solo con attività sostitutive o palliative aspettando che tutto ritorni alla “normalità”, ignorando le ferite profonde e il numero di persone cadute nel frattempo; oppure ci ritroviamo immersi in una certa nostalgia del recente passato che ci fa dire “niente sarà più come prima” e ci rende incapaci di invitare gli altri ad elaborare nuove strade.

Il Signore non ha scelto o cercato una situazione ideale per irrompere nella vita dei suoi discepoli. Come i discepoli di Emmaus, possiamo anche continuare a mormorare rattristati lungo la strada (cfr Lc 24,13-21). Presentandosi nel Cenacolo a porte chiuse, il Signore è stato in grado di trasformare ogni logica e dare un nuovo significato alla storia e agli eventi. Ogni tempo è adatto per l’annuncio della pace, nessuna circostanza è priva della sua grazia.

Cari fratelli, siamo chiamati come la sentinella ad annunciare l’aurora che porta un nuovo giorno (cfr Is 21,11): La Risurrezione è l’annuncio della salvezza di un tempo nuovo che risuona e già irrompe oggi: «Proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19). La fede ci permette di abbandonare la logica della ripetizione, della conservazione. Non dobbiamo aver paura di affrontare la realtà, non temiamo che sia la presenza del Risorto a tracciare il nostro percorso, ad aprire orizzonti e a darci il coraggio di vivere questo momento storico e singolare.

Permettetemi questa grande sollecitazione di papa Francesco: “Lasciamoci sorprendere ancora una volta dal Risorto. Che sia Lui, dal suo costato ferito, segno di quanto diventa dura e ingiusta la realtà, a spingerci a non voltare le spalle alla dura e difficile realtà dei nostri fratelli. Che sia Lui a insegnarci ad accompagnare, curare e fasciare le ferite del nostro popolo, non con timore ma con l’audacia e la prodigalità evangelica della moltiplicazione dei pani (cfr Mt 14,15-21); con il coraggio, la premura e la responsabilità del samaritano (cfr Lc 10,33-35); con la gioia e la festa del pastore per la sua pecora ritrovata (cfr Lc 15,4-6); con l’abbraccio riconciliante del padre che conosce il perdono (cfr Lc 15,20); con la pietà, la delicatezza e la tenerezza di Maria di Betania (cfr Gv 12,1-3); con la mansuetudine, la pazienza e l’intelligenza dei discepoli missionari del Signore (cfr Mt 10,16-23). Che siano le mani piagate del Risorto a consolare le nostre tristezze, a risollevare la nostra speranza e a spingerci a cercare il Regno di Dio al di là dei nostri rifugi abituali. […] Come sacerdoti, mettiamo nelle mani piagate del Signore, la nostra fragilità, la fragilità del nostro popolo, quella dell’umanità intera. Il Signore è Colui che ci trasforma, che si serve di noi come del pane, prende la nostra vita nelle sue mani, ci benedice, ci spezza e ci condivide e ci dà al suo popolo. E con umiltà lasciamoci ungere dalle parole di Paolo affinché si diffondano come olio profumato nei diversi angoli della nostra città e risveglino così la speranza discreta che molti, tacitamente, custodiscono nel loro cuore: «Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2 Cor 4,8-10). Partecipiamo con Gesù alla sua passione, la nostra passione, per vivere anche con Lui la forza della risurrezione: certezza dell’amore di Dio capace di muovere le viscere e di uscire agli incroci delle strade per condividere “la Buona Notizia con i poveri, per annunciare la liberazione ai prigionieri e la vista ai ciechi, per dare libertà agli oppressi e proclamare un anno di grazia dal Signore.” (cfr Lc 4,18-19) (Lettera di papa Francesco ai Sacerdoti di Roma, 31 Maggio 2020).

 

+ Mons. Giovanni Mosciatti,
vescovo della Diocesi di Imola