Domenica 24 è iniziata, insieme al giubileo, anche a Imola la fase diocesana del sinodo (il 17 nelle altre diocesi). L’equipe del sinodo diocesano è così composta: don Gabriele Tondini, Laura Pantaleoni, suor Vincenza Benfante, Matteo Montanari e Vincenzo Longo. È stata anche istituita una mail a cui si possono scrivere domande e/o contributi: sinododiocesiimola@gmail.com.
Nell’articolo che segue don Gabriele Tondini, referente diocesano, riflette sulla sinodalità come metodo della Chiesa.


Più volte papa Francesco ha dichiarato che il cammino chiesto da Dio alla Chiesa nel terzo millennio è la sinodalità. Questa parola non indica tanto un evento ma un metodo per la vita della comunità ecclesiale.
Sinodi diocesani, nazionali, universali, capitoli di ordini o di congregazioni religiose, assemblee diocesane sono solo momenti straordinari in cui vivere più intensamente questo camminare insieme e riscoprirne l’importanza. La vita ordinaria della Chiesa dovrebbe essere sempre caratterizzata da un metodo sinodale, in cui si prega insieme, si annuncia insieme, si prendono decisioni ascoltandosi reciprocamente.
Ma se noi viviamo la sinodalità a “spot”, cioè solo ogni tanto e in maniera apparente, rischiamo di trasformare le nostre riunioni in «apparati senz’anima, maschere di comunione» (Novo Millennio Ineunte 43). Purtroppo nella nostra testa immaginiamo la Chiesa come una piramide al cui vertice troviamo il papa, poi i cardinali, i vescovi, i preti, le suore e i frati, i laici. Qualcuno con il desiderio represso di salire lo scalino successivo. Ma non era questo il sogno di Gesù. Quante ferite provocate da questo schema mentale: decisioni imposte dall’alto con conseguente disaffezione alla propria comunità, svalorizzazione del ruolo dei laici, clericalizzazione dei pastori, divisioni. La Chiesa è una comunità formata dal Popolo di Dio che cammina nella storia. La parola greca “ekklesía” vuol dire popolo convocato, chiamato da qualcuno. La Chiesa è una comunità di chiamati, ognuno con la sua vocazione particolare: battezzati, sposati, consacrati, diaconi, presbiteri, vescovi. Ogni vocazione è una pietra di un mosaico che per essere capito va visto nel suo insieme. Come mettere insieme lo stile sinodale con il servizio dell’autorità nella Chiesa? Non esiste organizzazione senza qualcuno che abbia la responsabilità di prendere decisioni e di guidare. Voler ascoltare tutti non significa debolezza nel condurre il cammino della Chiesa, ma desiderio di compiere passi tenendo conto della vita concreta delle persone, nella certezza che Dio parla anche attraverso la vita quotidiana, se la guardiamo con l’aiuto degli occhiali dello Spirito. Papa Francesco chiede alla Chiesa di percorrere la strada del vedere, giudicare, agire. Vivere il processo sinodale vuol dire mettersi in ascolto della realtà, delle persone, delle comunità, per poi fare discernimento e prendere decisioni. Non è trovare soluzioni dal punto di vista manageriale ai problemi della Chiesa, ma domandarsi: cosa ci vuol dire il Signore attraverso la realtà complessa che stiamo vivendo? Sinodo non vuol dire anarchia o democratizzazione estrema della compagine ecclesiale. La democrazia è lo strumento giusto per la vita civile e anche per alcune riunioni ecclesiali, ma non tutto può essere messo ai voti. L’ultimo passo del Sinodo sarà quello del discernimento compiuto dai Vescovi e dal Papa, durante il quale, dopo aver ascoltato la voce dei fedeli sparsi in tutto il mondo, dopo aver pregato e invocato lo Spirito Santo, prenderanno le decisioni necessarie per la vita della Chiesa. A qualcuno piaceranno, taluni le criticheranno, come sempre avviene. Ma ciascuna persona coinvolta, tutte le diocesi chiamate a partecipare, ogni Conferenza Episcopale, potrà dire d’aver fatto parte di questo cammino.

Don Gabriele Tondini