Papa Francesco ha aperto solennemente il Sinodo dei vescovi di tutto il mondo, inaugurando un impegnativo percorso che si concluderà nel 2023 e che intende coinvolgere anche la “base”, cioè le comunità cristiane dei cinque continenti. È un evento di portata epocale. Tuttavia sembra innegabile che Francesco intenda il cammino sinodale non perché si elaborino ulteriori analisi sulle dinamiche della secolarizzazione e della scristianizzazione delle società occidentali ma perché ci si interroghi, mettendo in discussione se stessi, sull’autenticità dell’essere Chiesa di ciascuno dei credenti e sul modo di guidare il popolo di Dio da parte dei pastori.
Il papa invita infatti a scrollarsi di dosso formalismo, intellettualismo e immobilismo, tre vizi che paralizzano la vita ecclesiale e a rimettere in moto le dimensioni della comunione, della partecipazione, e della missione.
Egli ci ricorda che la comunione esprime la natura stessa della Chiesa in cui la missione, cioè l’impegno apostolico verso il mondo contemporaneo, è il suo compito.
Ma è importante che si viva una sinodalità, una partecipazione in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno. Tuttavia papa Francesco ha detto una cosa importante: che protagonista di tutto questo è lo Spirito Santo. Non per modo di dire: “Se non c’è lo Spirito, non ci sarà Sinodo”. Occorre davvero evitare il rischio del formalismo ma che si metta in luce la grande domanda sulla pertinenza della fede rispetto all’umano, alla vita dell’uomo. Mons. Luigi Giussani già decenni fa si diceva “persuaso che una fede che non fosse reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, dice il contrario”. La posta in gioco ci ricorda la domanda sconvolgente di Gesù nel vangelo di Luca: “Il figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?”. Quante volte pensiamo che tutto dipende da noi, dalla generosità che mettiamo nel fare le cose, la carità, il volontariato, ecc. Non è stato così per gli apostoli: erano coraggiosi e pieni di entusiasmo perché il poco o niente che erano lo sentivano amato incondizionatamente da Gesù. Vivere – sentirsi persona, essere in compagnia fraterna, comunicare agli altri (comunione, partecipazione, missione) – era stare alla sua presenza. La loro domanda, era quella umana, di tutti: come si fa a vivere? E la risposta era nell’incontro con una eccezionale Presenza. Ecco, è auspicabile che il cammino sinodale, per tutti – parrocchie, associazioni, movimenti, fedeli anche lontani – ci trovi “pellegrini innamorati del Vangelo, aperti alle sorprese dello Spirito Santo. Non perdiamo le occasioni di grazia dell’incontro, dell’ascolto reciproco, del discernimento – ci dice ancora papa Francesco – Con la gioia di sapere che, mentre cerchiamo il Signore, è Lui per primo a venirci incontro con il suo amore.”
Vogliamo anche noi raccogliere questa sfida e nei prossimi giorni ci daremo indicazioni più precise e concrete per il nostro cammino insieme.

X Giovanni Mosciatti, vescovo