«È nel legame fecondo tra il sensus fidei del Popolo di Dio e la funzione di magistero dei pastori che si realizza il consenso unanime di tutta la Chiesa nella medesima fede. Ogni processo sinodale, in cui i vescovi sono chiamati a discernere ciò che lo Spirito dice alla Chiesa non da soli, ma ascoltando il Popolo di Dio, che “partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo” (LG, n. 12), è forma evidente di quel “camminare insieme” che fa crescere la Chiesa». Sono parole che leggiamo nel documento preparatorio del sinodo, al punto n. 14.
Abbiamo chiesto a don Giorgio Sgubbi di aiutarci a comprendere meglio il significato del sensus fidei.
Don Giorgio, suona strano questo legame profondo in cui i pastori che sono chiamati ad ascoltare il popolo di Dio…
No, perché? Ricordo che papa Benedetto, in un’udienza del 2010, disse che il Popolo di Dio è “magistero che precede” in forza del “sensus fidei”, quella capacità donata dallo Spirito Santo che consente ai fedeli abbracciare la fede nella sua verità e integrità. Nella stessa direzione, anche papa Francesco ha ribadito che il “sensus fidei” è il dono dello Spirito Santo grazie al quale i membri della Chiesa acquistano una sorta di “istinto spirituale”, grazie al quale possono discernere ciò che è conforme alla fede trasmessa dagli apostoli e allo spirito del Vangelo. Dal canto suo, tanto il magistero dei pastori che quello dei teologi devono prestare massima attenzione a ciò che lo Spirito dice alle Chiese attraverso le manifestazioni autentiche del sensus fidelium (dicembre 2013). Niente di strano, dunque, ma un’ulteriore espressione della Chiesa come “communio”, reale comunione.
Non si tratta quindi di una democratizzazione della Chiesa.
Assolutamente no. Ma niente paura: ascoltare il Popolo di Dio è ascoltare lo Spirito che, quale anima di questo corpo che è la Chiesa, indica in ogni tempo la direzione del cammino. Del resto, già il Concilio Vaticano II ha sottolineato gli elementi strutturali che garantiscono il “sensus fidei”: l’accoglienza dello Spirito di verità, il riconoscimento del carattere divino delle scritture e l’autorevole guida del magistero (cfr. Lumen Gentium 12). Ne consegue che il sensus fidei non obbedisce a logiche meramente sociologiche, ad esempio il criterio maggioranza-minoranza, e meno ancora può valere come pretesto per rivendicare indipendenza e distacco dal tessuto ecclesiale: al contrario, è un’espressione fondamentale di quella reale comunione che caratterizza la Chiesa di Cristo, della “communio” appunto.
C’è il pericolo di un allontanamento tra magistero e questo “fiuto” del popolo di Dio, come lo chiama papa Francesco?
È stato fortemente ribadito dal Vaticano II (e dai pontefici successivi) che c’è un unico cammino per popolo e pastori, e che pertanto principio sinodale e principio gerarchico si coappartengono e procedono insieme. Eventuali tensioni, peraltro già documentate nel Nuovo Testamento, troveranno la loro soluzione nella corresponsabilità e nel fraterno ascolto. A tal proposito non deve essere dimenticato che Benedetto XVI auspicava con urgenza «un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli collaboratori del clero a riconoscerli realmente corresponsabili dell’essere e dell’agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo e impegnato». Sono parole che illuminano quanto papa Francesco va dicendo a proposito del camminare dei pastori con il loro popolo: davanti per guidarlo, ma anche in mezzo per sostenerlo ed essere da esso sostenuti, e talvolta persino dietro, per tenerlo unito e seguire il suo “fiuto”, capace di “trovare nuove vie per il cammino”. Sarà proprio questo camminare insieme, imparando a conoscersi e raccontarsi, che consentirà “di crescere come famiglia”. Ed è lo stesso Francesco a suggerirci queste domande: «Come camminiamo? Come cammina la nostra realtà diocesana? Cammina insieme? E che cosa faccio io perché essa cammini veramente insieme?». Rispondere con sincerità e generosità è già vivere “in sinodo”, o meglio, camminare sinodalmente e con coraggio sulle vie del nostro tempo.
Laura Pantaleoni