In un momento così delicato per la vita del mondo e della Chiesa il «sì» di Riccardo, questa sera pone di fronte agli occhi di tutti noi l’incredibile potenza del metodo di Dio, che sceglie un particolare nel tempo e nella storia, per renderlo testimone della sua Presenza e generatore di una umanità nuova ed attraente, così come era accaduto a Paolo e Barnaba, nel brano degli Atti che c’è stato proclamato.

E non sono le difficoltà, le incomprensioni o addirittura le persecuzioni che possono fermare questo impeto di vita nel raccontare a tutti ciò che si è visto e quello che abbiamo sperimentato: “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così, infatti, ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra.”

Il Mistero ha avuto pietà di noi; è diventato uomo per aiutare gli uomini a essere se’ stessi, per svelare il senso ultimo del mondo e aiutarli a capire il significato della vita. Gesù Cristo ha usato un’espressione per descrivere qual è il significato del mondo: il regno di Dio. Il valore di ogni singolo uomo è nella misura in cui collaboriamo al regno di Dio, nella misura in cui aiutiamo l’umanità a camminare verso la felicità. Perché è soltanto partecipando a questo regno – che è il riconoscimento della Sua presenza tra noi – che il singolo può raggiungere il proprio compimento.

Che esperienza straordinaria è questo regno di Dio, tanto da poter raggiungere gli estremi confini della terra, ed è ben altro che una attività pastorale di evangelizzazione. E’ il mistero di Dio che abita la nostra vita e la nostra storia, è un mistero che già appartiene all’uomo nella sua natura di uomo; un mistero a volte rinchiuso nelle tenebra della fragilità, del limite o anche del male; ma condividere il regno di Dio significa anche riconoscere in Gesù, colui che, attraverso la nostra fragile umanità ci ha già raggiunto e redento dal limite, dal male e dalla morte. Siamo chiamati a custodire e condividere questo amore unico “Io e il Padre siamo una cosa sola”, indiviso, un amore che custodisce l’integrità delle pecore perché nessuna vada perduta.

Oggi celebriamo la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Ecco allora che se la vocazione nasce dall’incontro personale, con il Signore, c’è da riscoprire che la vocazione non è mai soltanto “per me” ma sempre “per qualcun altro”, una risposta alle urgenze profonde presenti nel mondo e nella Chiesa.

Sono chiamato a corrispondere a una esperienza di amore in cui Dio è attrattivo e mi scalda il cuore, e l’amore ai fratelli, alla gente, a tutti indistintamente, mi coinvolge e mi interpella. Quando questa pulsione di amore soddisfa il mio desiderio, il mio cuore, nasce quel “Si” in risposta all’attrattiva di amore di Cristo. La vocazione non è quella strana idea che Dio ha di me, un suo progetto che generalmente mi lascia come in un turbamento esistenziale, tale per cui sono sempre in dubbio che quel progetto non corrisponda o non abbia nulla a che fare col mio progetto di vita. Una continua e snervante contrapposizione.

Il Signore con discrezione e libertà interagisce con la mia libertà e le mie scelte, ecco che è in quella interazione che il “progetto” vocazionale, la chiamata prende forma. La Vocazione è la chiamata ad accogliere lo sguardo di Dio che raggiunge ciò che ciascuno di noi già rappresenta e custodisce. Così Dio guarda ciascuno di noi e vede le potenzialità, talvolta ignote a noi stessi, e si pone in opera affinché ciascuno possa mettersi a servizio del bene comune, cioè la propria felicità. Occorre allora consentire a Dio di lavorare su di noi, di far emergere il seme di santità che portiamo dentro. Come diceva Michelangelo Buonarroti a proposito delle sculture: “Ogni blocco di pietra ha al suo interno una statua, ed è compito dello scultore scoprirla”.

Oggi che siamo invitati a Pregare per le vocazioni; si tratta senz’altro di una preghiera di domanda, ma cosa chiediamo? E a Chi lo chiediamo? Ogni preghiera di domanda va vissuta con l’animo del figlio che si rivolge ad un Padre buono, che già conosce ciò di cui abbiamo bisogno. Ogni preghiera di domanda ci rende consapevoli di ciò che siamo, dei nostri limiti, dei nostri desideri, e ci permette di rivolgerci a Dio con fiducia. Ma proprio come in ogni autentico dialogo è importante l’atteggiamento di fondo: occorre rimanere aperti e in ascolto della risposta, che può essere diversa da ciò che noi si pensava. Per questo non stupiamoci di quella che per noi sembra essere scarsità nella risposta.

La prima questione della vocazione, che dobbiamo guardare in faccia, non è che cosa scegliere, questa è la conseguenza. La prima questione è quella che urge tante volte ai nostri cuori: “Ma io perché ci sono? Perché sono al mondo? A che vale la pena vivere? A che serve l’io? A che serve il mio io?”. La primissima decisione è prendere sul serio queste domande, queste urgenze, altrimenti si blocca il nostro io nel proprio slancio verso la vita. Qui passa la possibilità di felicità e di libertà. Occorre educarci al Mistero, educarci a essere tutti spalancati, tesi a scoprire i segni attraverso cui io posso capire a che cosa sono chiamato. E così la domanda non è appena: “Che cosa il tutto potrà darmi? Come ottenere il più possibile vantaggio dal tutto?”: questi sono i criteri normali del buon senso che tutti vivono. Invece la mentalità cristiana travolge quelle domande, le contraddice, e rende gigante proprio l’imperativo opposto: “Come io potrò donarmi con quel che sono, servire di più al tutto, al regno, a Cristo?”. E così sperimentare la bellezza, la gioia e la grandezza della vita.

La storia di Riccardo è veramente una testimonianza per tutti noi e per tanti giovani che si pongono tante domande. Non bisogna aver fretta di trovare una risposta a queste domande; la fretta può essere il segno di quella insicurezza che ci spinge a voler afferrare subito qualcosa. Come capita con la scelta dello stato di vita: devo sposarmi o no? Devo fare il prete, il monaco o la suora? La risposta la darà il Mistero quando ciascuno sarà pronto a riceverla, quando uno sarà veramente disponibile. Domandiamo questa disponibilità del cuore innanzi tutto. Il Mistero farà conoscere la vocazione e farà cogliere pian piano i fattori, i dati per decidere.

Raccogliamo l’invito alla preghiera di Papa Francesco: “perché il Popolo di Dio, in mezzo alle vicende drammatiche della storia, risponda sempre più a questa chiamata. Invochiamo la luce dello Spirito Santo, affinché ciascuno e ciascuna di noi possa trovare il proprio posto e dare il meglio di sé in questo grande disegno!”.

Monsignor Giovanni Mosciatti
vescovo Diocesi di Imola