Carissimi,
ogni giorno le notizie che ci arrivano dagli scenari di guerra ci addolorano e ci preoccupano.
Proprio domenica scorsa, all’Angelus, papa Francesco ha detto che «inquieta il possibile allargamento del conflitto, mentre nel mondo tanti fronti bellici sono già aperti. Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle, la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace; ma non a parole, con la preghiera, con la dedizione totale».
Ma cosa vuol dire per noi prendere in questo conflitto la parte della pace? È anzitutto un impegno e una responsabilità, perché non si chiede pace se nel cuore vi sono sentimenti di odio, di violenza. Essere “artigiani”, “architetti” di pace, vuol dire essere costruttori di ponti e non di muri, di alleanze e non di conflitti. Non c’è davvero futuro con la violenza e con la spada.
Dobbiamo però riconoscere che prima del poter o dover essere dei pacificatori abbiamo la responsabilità di essere “pacificati” noi stessi.
È davvero l’esperienza dell’essere pacificati con Dio a fondare la possibilità autentica di essere operatori di pace.
Noi siamo certi che il Signore muove i cuori, li tocca, ma l’uomo deve aprire la porta. Deve chiedere, deve domandare. La pace assieme al perdono è il dono che Gesù risorto dà ai Suoi perché lo diffondano. Perciò vanno domandati, poi riconosciuti come tali e accolti.
La pace e la riconciliazione, che riguardano i rapporti tra gli uomini, sono dunque anche frutto della libertà in azione. Per questo è molto giusto il termine “artigiano”, perché l’artigiano è un uomo libero, che partecipa con passione di tutto il processo fino al prodotto finale. Anche noi abbiamo bisogno oggi di questi artigiani. Abbiamo bisogno di vedere artigiani di pace e di riconciliazione in azione, per supportare la speranza in noi e suscitarla nei nostri fratelli uomini.
E questo è quello che permette di costruire nuovi rapporti. Senza perdono, senza riconciliazione le guerre lasciano solo orrori, gli errori divengono macigni, anziché costruire si aprono voragini sempre più incolmabili.
L’esperienza della pace e della conciliazione vince la paura e l’esperienza del perdono vince la disperazione. Per questo è necessario viverle queste esperienze, e non appena enunciarle, o annunciarle come necessarie. Siamo responsabili di questo.
Ai cristiani in particolare è chiesto di vivere questa speranza. In spem contra spem, sperando contro ogni speranza, si sperimenta una operosità anche nelle condizioni più ardue e drammatiche. La speranza, l’unica speranza per quelle terre martoriate è vedere in atto un’altra logica, rispetto alla logica dell’odio, della vendetta, della violenza settaria. I cristiani sono quelli che hanno subito il male, hanno accettato anche il martirio, senza reagire, senza impugnare le armi. Un altro mondo, una speranza concreta e questo non solo per i cristiani.
La preghiera, come ha ricordato il Papa domenica, «è la forza mite e santa da opporre alla forza diabolica dell’odio, del terrorismo e della guerra». “Trova la pace in te e migliaia la troveranno attorno a te”, diceva il grande monaco ortodosso, san Serafino di Sarov.
Proprio perché si tratta del cuore da convertire vogliamo accogliere l’invito di Papa Francesco venerdì 27 ottobre prossimo alla giornata di digiuno e preghiera, di penitenza, alla quale unirsi, nel modo che riterranno opportuno, tutti quanti hanno a cuore la causa della pace nel mondo.
Invito tutte le comunità cristiane, le parrocchie, le associazioni, i movimenti ad unirsi a questa preghiera corale organizzando momenti di preghiera e di adorazione.
Come previsto dal nostro cammino sinodale io sarò presente la sera del 27 ottobre alle ore 20.30 alla Scuola della Parola nella Chiesa di San Giacomo a Lugo. Con chi vorrà unirsi a noi ascolteremo la Parola del Signore e pregheremo insieme per la pace in tutti gli scenari di guerra.
Di cuore vi benedico.
Giovanni Mosciatti
vescovo di Imola