La “Vita” dell’eremita Onofrio, scritta da Pafnuzio, è nota anche in diverse recensioni orientali, greca, copta, armena, araba; essa ci presenta in effetti un elogio della vita monastica cenobitica e, nel contempo, una presentazione dello stato di vita più perfetto: la solitudine nel deserto.
Indipendentemente dalla esistenza storica di Onofrio, la ‘Vita’ di Pafnuzio si conclude dicendo che il santo morì un 11 giugno. Il suo culto e il suo ricordo fu esteso in tutti i Paesi dell’Asia Minore e in Egitto. L’immagine di Onofrio anacoreta nudo e ricoperto dei soli capelli, fu oggetto della rappresentazione artistica in tutti i secoli, arricchita dei tanti particolari narrati: il perizoma di foglie, il cammello, il teschio, la croce, l’ostia con il calice, l’angelo. Il nome Onofrio, di origine egizia, significa “che è sempre felice”. In Egitto era un appellativo di Osiride.
Ne facciamo memoria con il dipinto di Ignazio Stern (1719), “Sant’Onofrio bambino consegnato alle fiamme dal re di Persia”, nell’oratorio di Sant’Onofrio di Lugo.