23 novembre 2024
Imola, cattedrale di San Cassiano
Ordinazione diaconale di Vainer Gheduzzi, Giovanni Grassi, Andrea Turrini

Oggi è la vigilia della solennità di Cristo Re dell’Universo, Egli, redentore dell’uomo è il centro del cosmo e della storia. Un Re davvero ben strano che ha come trono la Croce e la cui forza non sono le armi ma l’amore. Un Re presente nella storia che ci invita a riconoscerlo e a toccare la Sua carne nella povertà e nel bisogno dell’uomo. “Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. (Gv 18,37)

E la verità è che Gesù è un Re che serve che si prende cura di noi. È lui che sente sé stesso come diacono e lo mette anche in evidenza tra i suoi discepoli. È l’essenza stessa della sua vita, la ragione e il contenuto della sua missione. “Poiché il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita in riscatto per molti” (Marco 10,45). Gesù è venuto per essere diacono, servitore.

In Lui avviene una grande svolta: il modo di regnare è quello di servire, essere servitore, diacono. I discepoli hanno fatto fatica ad accettare tutto questo. Avrebbero voluto sedersi a destra e a sinistra del trono di Gesù nella sua gloria. Ma Gesù dice: “Chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore” (Marco 10,43). E Gesù è il Servitore, il Diacono. La sua missione, la sua vita, la sua sofferenza e, la sua morte sono la sua diaconia. Il senso più profondo del suo servizio è nella sua Incarnazione, nel suo farsi uomo svuotandosi di ogni maestà regale (cfr. Fil 2,8) e mostrando così il vero senso della sua gloria. Da ricco che era si fece povero per arricchire tutti noi con la sua povertà (2Cor 8,9).

Se la diaconia è il senso e il contenuto di tutta la vita di Gesù, allora è il fondamento della Chiesa, cioè del corpo di Cristo. Se Gesù è il diacono, la chiesa è la diaconia. La diaconia è l’essenza profonda della Chiesa, la continuità di Cristo nella storia. Tutto quello che si esercita nella Chiesa è diaconia. Il diacono è allora il custode del servizio nella Chiesa. Ma attenzione, Cristo non ha servito e non è stato diacono offrendoci un esempio, ma si è fatto Egli stesso servizio diventando Egli stesso la via. E’ guardando a Cristo allora, essendo presenza sacramentale di Cristo servo il diacono potrà trovare la sua vera identità.

Ci è chiesto di andare all’essenziale nella nostra vita: l’immedesimazione con la vita di Cristo (cfr. Ef 4,5). Solo entrando in questa prospettiva possiamo comprendere come la vocazione originaria, quella del nostro battesimo si è arricchita di nuovi doni (matrimonio, ordine, consacrazione a Dio, …) che si innestano nella vita di ognuno in funzione dell’edificazione della Chiesa.

Il diaconato è segno, sacramento dello stesso Cristo Signore, che non venne per esser servito, ma per servire, ed allora non si tratta di un modo per supplire alla mancanza di presbiteri, ma è l’espressione di una Chiesa impegnata a crescere nel servizio del Regno, nell’amore ad ogni persona.

I diaconi, accanto ai presbiteri ed insieme con loro, vivono una forma di collaborazione essenziale con il vescovo per raggiungere i fedeli nelle diverse realtà. Già la Tradizione antica sottolineava come il diacono fosse a titolo speciale “l’orecchio, la bocca, il cuore e l’anima del vescovo”. Nel corpo ogni organo ha un suo compito specifico e tutto deve concorrere all’unità e alla comunione ed ogni compito risplende di una propria bellezza.

Come è importante comprendere che l’ordinazione diaconale, sviluppo del battesimo, può vivere in profonda unità con il matrimonio: è una sola vocazione ad essere “servo della comunione”. Nel matrimonio il diacono richiama con la sua stessa vita coniugale all’unità della Chiesa, all’unità dei doni nell’unico corpo. È questa una grande grazia! Le nostre comunità, infatti, hanno un profondo bisogno di crescere nell’unità, quell’unità che in Cristo vive della ricchezza di doni diversi, tutti cooperanti alla crescita dell’unico Corpo (cfr. 1 Cor 12,1-30). Il matrimonio è una scuola di unità e di servizio ecclesiale.

Alla moglie è chiesto giustamente il consenso, e nel suo sì riconosce la vocazione del marito e si impegna a sostenerne il futuro ministero, in modo che la grazia del sacramento matrimoniale arricchisca la donazione del diacono alla Chiesa e nello stesso tempo contribuisca all’unità matrimoniale.

Anche il diacono, come tutti gli sposi, può vivere momenti di difficoltà, di incomprensione. Con l’aiuto di Dio, il consiglio del vescovo, dei presbiteri, dei diaconi e delle famiglie, il diacono è chiamato a vedere le difficoltà, assieme alla propria moglie, come un’opportunità nella fede, sapendo che il Signore non chiede a noi cose impossibili, perdona le nostre colpe e ci aiuta a camminare in avanti verso di lui.

Oltre alle responsabilità ecclesiali e a quelle familiari, un diacono ha anche delle responsabilità di lavoro professionale. Anche questo è un particolare dono di grazia, un luogo fondamentale della sua vocazione. Il diacono, infatti, si trova in questo modo a vivere molto tempo della sua esistenza a fianco di uomini e donne, incontrati proprio attraverso il suo lavoro, a cui offrire la propria testimonianza di vita cristiana.

Cristo ha legato alla comunione vissuta tra i suoi discepoli il segno della sua permanenza nella storia: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13,35). La carità è la più forte testimonianza di Cristo presente. Che grazia grande allora imparare dai nostri diaconi che regnare è servire.

 

Mons. Giovanni Mosciatti