Saluto alla festa diocesana dell‘Azione Cattolica – Zolino

Insieme al saluto affettuoso a voi soci dell’Azione Cattolica diocesana e all’illustre ospite, l’onorevole Giuliano Poletti, ministro del lavoro, che conosco personalmente da anni, presento il mio compiacimento per avere scelto il tema del lavoro nei suoi due versanti: quello dell’occupazione, e quello del senso e valore del lavorare, come tema della festa diocesana dell’Azione Cattolica. È una scelta coraggiosa e impegnativa, che sottolinea la vostra volontà di essere coerenti con la dottrina sociale cristiana e con la vostra vocazione laicale: santificarsi trattando le realtà temporali. La santificazione infatti non risponde ad una tensione ideale intimistica, ma ha dei riflessi sociali incontestabili e consistenti.

L’impegno assunto tre anni fa, con la ricostituzione del Movimento Lavoratori, in certo modo si estende a tutta l’associazione diocesana, nella consapevolezza non soltanto delle difficoltà di carattere economico, presenti anche in una zona prospera come la nostra, ma soprattutto delle responsabilità educative e formative, nelle quali siamo direttamente coinvolti. A monte dell’alto tasso di giovani inoccupati e di adulti in procinto di perdere il posto di lavoro, stanno infatti più elementi critici.

Vi è un primo elemento strutturale, quello dell’economia locale, che vede la cooperazione risentire più tardivamente ma non meno pesantemente della globalizzazione.

Vi è un altro elemento di debolezza strutturale nel sistema scolastico, che vede gli istituti professionali di Stato in affanno, nel rapporto con le aziende da un lato e con le famiglie degli alunni dall’altro.

E vi è pure un limite nell’opera educativa della società civile e della Chiesa particolare: i genitori faticano a motivare ed orientare i figli al lavoro, rivelando la presenza di un’incertezza in se stessi. Si è interrotta, con quella della fede, anche la trasmissione del sapere pratico e della laboriosità; ed è intuibile il rapporto esistente tra questi due aspetti dell’educazione. La Chiesa dall’unità d’Italia fino ad oggi ha dato testimonianze innegabili di presenza e di efficacia formativa, che però non sono conosciute, anche a causa della spontaneità con la quale venivano rese. La cultura dominante poi ha contribuito a rimuovere o censurare tali testimonianze, anche in coloro che ne erano gli strumenti o i collaboratori. Accenno appena ad un esempio di casa nostra.

In sostanza, ben cinque istituti religiosi femminili fondati nella nostra diocesi fra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento hanno svolto una grande opera educativa e hanno avviato al lavoro tantissime ragazze. Con il passare del tempo però non sono riusciti a mantenere la genialità e l’intraprendenza che ne aveva contraddistinto gli inizi. Da un lato, è sorprendente l’opera formativa svolta anche dall’Istituto Santa Caterina, con scarsi mezzi economici ma con competenza e dedizione. Dall’altro lato, è doloroso constatare come sia diventato problematico il rapporto tra istituzioni ecclesiali, giovani e mondo del lavoro. Non si è trattato di una naturale evoluzione; ci sono state scelte politiche precise, oltre che scarsità di mezzi; l’educazione scolastica e la formazione professionale sono diventate statali e in certo senso neutre. Non è estraneo a questo il processo di secolarizzazione, che ha oggettivamente impoverito di motivazioni spirituali e ideali la vita sociale.

Tuttora sono presenti a Lugo e Imola due centri di formazione professionale gestiti da congregazioni religiose femminili; essi rappresentano uno sforzo concreto e un punto di riferimento positivo di un certo valore. Ma il bisogno formativo è tanto ampio e tanto difficile da affrontare con mezzi adeguati, che c’è da domandarsi come, oltre a questi, anche gli altri centri attivi sul territorio possano corrispondervi. Il disagio del mondo giovanile tuttavia non va drammatizzato; il fenomeno dei giovani neet si è ingigantito, ma esisteva anche prima. È tipico di una certa quota di giovani infatti non riuscire a decidere che cosa essere, che cosa fare.

Passando all’apporto dell’associazionismo cattolico, mi chiedo poi: che cosa si è perduto per strada? Che cosa ha causato, con l’eccezione di Lugo, un progressivo impoverimento delle associazioni di lavoratori cristiani, da me rilevato pubblicamente due anni fa in occasione della Messa del 1° maggio? La crisi economica sembra avere messo a nudo una debolezza strutturale preesistente, che chiama in causa non solo le istituzioni e l’attività politica, non solo l’organizzazione produttiva, ma l’intera società, nel cui interno la Chiesa è ‘ per riprendere un’espressione di san Giovanni Paolo II ‘ una forza sociale; e in prima battuta chiama in causa le famiglie, esposte ad ogni genere di difficoltà, ma anche, più di qualunque altro soggetto sociale, capaci di rigenerarsi. Ciò che va ricostruito insomma è il popolo. In una situazione come questa, tornano non solo attuali ma indispensabili le parole della Prima lettera di Pietro: «Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1Pt 2,10).

Se posso esprimere un ampio auspicio, chiudendo questo mio saluto, preferirei che, dentro le associazioni e le istituzioni, si fermasse l’attenzione non soltanto sugli interventi pratici, nell’intento di riaprire a tanti giovani l’accesso al mondo del lavoro; ma che si investisse di più anche sulle famiglie e sull’educazione. Auspicherei inoltre che le associazioni ritrovassero il loro spessore popolare; che la politica ritrovasse la memoria e il senso dei processi sociali; che fosse meno congiunturale e più progettuale. Grazie.