L’intervento del vescovo Ghirelli al convegno di Faenza svolto a seguito della Settimana sociale di Cagliari

 Ecco l’intervento del vescovo di Imola Tommaso Ghirelli al convegno “Per costruire un lavoro innovativo, creativo, soldiale”, svoltosi a Faenza sabato 7 aprile.

Sono lieto di porgere alle Autorità, ai relatori e a tutti gli intervenuti, anche a nome di Mons. Mario Toso, vescovo di questa città, il saluto festoso che si addice ad un giorno dell’Ottava di Pasqua: pace a voi!
“Il lavoro è per l’uomo, non l’uomo per il lavoro”. La vigorosa rivendicazione che contrassegnò il magistero sociale di s. Giovanni Paolo II° nel suo lungo ministero pontificio, ci può aiutare ad impostare correttamente e fruttuosamente la mattinata di studio e confronto che ci sta davanti.
Ci viene indicato anzitutto un metodo: se vogliamo occuparci dell’approccio dei giovani al mondo del lavoro, conviene che partiamo da loro piuttosto che dal lavoro e dall’economia. Possiamo parafrasare: “il lavoro deve essere per i giovani, non i giovani per il lavoro”. Siamo favoriti dalla preparazione dell’ormai imminente sinodo dei vescovi, che si occuperà proprio dei giovani, con particolare riferimento alla fede e al discernimento vocazionale. Portiamo dunque la nostra attenzione sul posto dei giovani nella società e nella Chiesa: ci sarà agevole trovare le indicazioni appropriate sul modo in cui vanno preparati mediante l’alternanza tra scuola e lavoro, nel quadro di un progetto educativo che riconosca il ruolo tanto della famiglia quanto dei gruppi intermedi, fino a quello della politica.
Mi sia consentita una puntualizzazione: la famiglia non va artificialmente isolata, perché di fatto essa svolge il proprio ruolo primario in rapporto con altre famiglie, in seno alla comunità civile e a quella religiosa. Come insegnava Giovanni Paolo II° – su questo punto poco ascoltato – la famiglia è e resterà la prima, indispensabile scuola di lavoro (cfr. enc. Laborem Exercens, 10). Sono i genitori, con il loro esempio e il loro orientamento, che trasmettono alla nuova generazione il senso del lavoro. Se i giovani faticano a trovare un’occupazione, non si vada a cercare la causa di tale difficoltà nel solo costo del lavoro o nella crisi economica: si guardi agli stili di vita, a come sono stati orientati nell’ambito domestico e correlativamente nell’ambito scolastico primario.
Partecipando a questo convegno, esercitiamo in primo luogo la responsabilità della comunità ecclesiale, non sui giovani ma con i giovani, convinti come siamo che essi sono tenuti a lavorare già al presente, non soltanto a prepararsi. Ieri, nella prima giornata di questo convegno, i giovani che erano presenti hanno ricevuto testimonianze di prima mano, anche da altri giovani, poco più avanti negli anni, già inseriti nel mondo del lavoro. Hanno anche manifestato, con la loro reattività immediata e un poco scomposta, un atteggiamento fatto di consapevolezza e di timidezza. Noi adulti in qualche modo ci siamo messi in ascolto delle loro comunicazioni un po’ chiassose e ne abbiamo ricevuto certamente un messaggio di cui fare tesoro.
Ora possiamo commentare: il rinvio dell’inserimento in un’attività regolare e in un ruolo definito a quando sarà terminato il corso degli studi – tendenzialmente oggi più prolungato che in passato – non è di aiuto né per l’organizzazione del lavoro né per il processo di formazione continua, richiesto ormai a tutti i livelli. La Chiesa ha il merito di avere precorso i tempi tanto per ciò che riguarda la formazione professionale quanto per la fase dell’apprendistato; non può rassegnarsi ad accettare supinamente il sistema attualmente vigente, ma è impegnata a migliorarlo riformandolo con forza e costanza.
A pochi mesi dalla settimana sociale dei cattolici italiani, svoltasi a Cagliari sul tema “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale”, le nostre diocesi si sentono chiamate ad incrementare l’impegno pastorale e sociale nel mondo del lavoro soprattutto guardando ai giovani.
Riprendendo un contributo di Alfonso Balsamo alla preparazione della settimana sociale (cfr La Società, 2/2017, pp.171ss), pongo a fondamento dei lavori di questa mattina la tesi che una formazione fondata sul lavoro e sull’accompagnamento al lavoro è oggi indispensabile, essendo anche l’unico modo per “imparare a imparare”, in un contesto sociale che richiede formazione continua. Per mezzo del contratto di apprendistato, il lavoro viene anzi inserito direttamente nel percorso formativo. In seno all’Unione Europea, tale contratto viene ormai ad assumere non soltanto valenza educativa, ma viene considerato necessario per il conseguimento di un titolo di studio. Si è infatti raggiunto un accordo programmatico sulla VET (vocational education and training). Anche l’Italia ha ormai imboccato la strada della “formazione duale” (duale perché realizzabile tanto a scuola quanto in azienda).
Ritengo nostro compito specifico approfondire il ruolo della Chiesa nell’apprendistato. Anzitutto occorre tornare a parlarne: sono pochi – ha notato il prof Balsamo – i documenti ecclesiali che lo fanno. Poi occorre utilizzare – oltre al servizio civile – anche lo strumento dell’alternanza scuola-lavoro nelle curie diocesane, nelle  parrocchie, negli oratori, nelle associazioni. Infine, là dove è possibile, passare dall’alternanza intesa come metodologia didattica all’apprendistato vero e proprio, regolato da un apposito contratto di lavoro.
Mi sento di aggiungere che ci troviamo di fronte non soltanto ad un’opportunità, ma ad un vero dovere della Chiesa. Se non ci mettiamo su questa strada, finiremo per togliere ai giovani la speranza nel proprio futuro. Un certo numero di quelli che frequentano le parrocchie vengono già impegnati come educatori e animatori, ma non può essere questa l’unica forma di formazione in assetto lavorativo che viene loro offerta. Se non riceveranno anche altre proposte, sarà inevitabile che si rivolgano altrove, trascurando o abbandonando anche la formazione spirituale. La pastorale giovanile viene investita del compito di accompagnare non soltanto i giovani stessi, ma anche le comunità in cui si articola una diocesi: una bella sfida, per un “servizio” – quello della pastorale giovanile – sorto in seno agli uffici diocesani di pastorale della famiglia e diventato sempre più nevralgico. Molto dipenderà da come questo Davide saprà liberarsi dell’armatura di Saul, cioè dal complesso, pesante procedere della pastorale familiare nel suo insieme, per abbattere il gigante Golia identificato con il liberismo individualista.