Intervista realizzata da Davide Santandrea e pubblicata su Il Nuovo Diario Messaggero N.17 del 25 aprile 2019.

Il 10 aprile scorso i capi degli scout della diocesi di Imola si sono radunati per eleggere i nuovi responsabili. Il mandato, che dura quattro anni e può essere rinnovato per altri due, è stato affidato ad Andrea Zanellati e Chiara Neri, entrambi di Imola. Il primo, 32 anni e insegnante di matematica all’Alberghetti, prenderà servizio immediatamente occupando il posto lasciato vacante da Luca Salvadori, dimessosi a novembre scorso con qualche mese di anticipo prima della fine del mandato. La seconda, 48 anni e insegnante di inglese al Ciofs, entrerà in carica a novembre prossimo quando succederà a Sabrina Drei, attualmente ancora in carica.

Partendo dalla nomina fresca fresca… come vi è stato chiesto di diventare responsabili di zona?
Andrea Zanellati: Era stata sondata la disponibilità di alcuni capi scout, facendo alcune richieste ma nessuno si è reso disponibile. A me come ad altri è stato chiesto e, incalzato anche dalla comunità capi a cui appartengo che spingevano affinché mi caricassi di questa responsabilità, ho accettato di rendermi disponibile. Premesso che mi sento inadeguato, visto le insistenze mi sono affidato e, dove non arrivo io umanamente, ci pensa Qualcuno di più grande.
Chiara Neri: Quella del responsabile di zona è una figura che comporta capacità relazionali nei confronti della Diocesi, del Comune e delle autorità in generale. Faccio parte della stessa comunità capi di Andrea e mi sono resa disponibile dopo che più volte è stato chiesto di pensare seriamente a questa proposta.

Come è stato il vostro percorso negli scout?
AZ: Sono entrato negli scout a 8 anni e ho fatto tutto il percorso educativo proposto. Una volta finito ho concluso con la partenza, che per noi significa abbracciare i valori che lo scoutismo propone, facendo servizio come educatore dentro l’associazione. Ho scelto questo perché ho scoperto che mi piaceva molto l’ambito educativo e mi mettevo in gioco in maniera positiva. Sono al mio undicesimo anno in comunità capi e sono quasi sempre stato con i ragazzi più grandi, dai 16 ai 21 anni.
CN: Sono entrata nei lupetti quando avevo 9 anni e ho fatto tutto il percorso fino ai 20 nell’Imola 3, ai Cappuccini. Quando sono entrata in comunità capi mi sono spostata in Pedagna all’Imola 4 perché era nata questa esigenza e, per una decina di anni, ho fatto servizio in reparto. Lì per qualche anno sono stata anche capo di Andrea (scherza, ndr.). Poi per impegni familiari ho lasciato il servizio temporaneamente per ricominciare, 7 anni fa all’Imola 1.

Cosa vi colpisce del mondo degli scout?
AZ: In primis l’associazione che ho sempre visto come un punto di forza. Se uno pensa allo scoutismo sul territorio italiano ci sono realtà molto diverse, però riconosco che l’associazione dà la forza a quello che facciamo. Cioè, le cose vanno avanti non per il protagonismo di un singolo, ma perché tante persone collaborano a ciò. Quindi non muore tutto una volta che scompare una persona ma va valorizzando coloro che vi sono dentro.
CN: Innanzitutto la capacità di collaborare perché tutti i ruoli che abbiamo negli scout sono doppi. Non si fa mai servizio da soli ma si è sempre in gruppo, questo permette di confrontarsi e di guardare le cose da più punti di vista. Poi è un’esperienza giovanile, avere a che fare con i ragazzi ti fa rimanere vivace nello spirito, nella testa e nell’animo; ti costringe a stare al loro passo. Infine la condivisione delle esperienze: ad esempio nelle route dove si cerca di far raggiungere la meta a tutti perché tutto è pensato a misura di comunità. Se la strada è troppo dura si adatta anche per quelli che non ce la fanno, l’obiettivo è arrivare in gruppo. Se poi penso a come vivo, mi viene in mente la frase “gli scout sorridono e cantano anche nelle difficoltà”… è proprio vero!

Come cambia il vostro ruolo negli scout diventando responsabili di zona?
AZ: Da un lato è bello ma mi porto dietro alcuni punti interrogativi. Questo servizio lo sento un po’ distante rispetto a quello che ho fatto fino adesso, ovvero stare in clan con i più giovani. Da un lato c’è una responsabilità più grande perché ti fai garante, insieme al comitato, che i gruppi della zona aderiscano ad una proposta che sia all’altezza del nostro patto associativo; e non è facile mettersi in questa posizione perché bisogna capire come vanno le cose e conoscere le persone; dall’altro è un po’ svincolato dalla formazione dei capi. Diciamo che è nuovo.
CN: Per me è una sfida perché è un ruolo che non ho mai ricoperto. Allo stesso tempo sarà interessante capire come agisce l’associazione a livelli più alti, regionali e nazionali. Sarà un ruolo più burocratico-istituzionale rispetto a quello di contatto diretto con i ragazzi. Spero lo stesso di riuscire a trovare dei momenti di relazione con loro perché è lì che vedo il servizio, anche se al momento non so cosa possa comportare in termini di tempo questa responsabilità.

Nella vostra esperienza, come lo scoutismo vi ha aiutato a vivere la fede, il lavoro e tutti gli aspetti della vita?
AZ: La mia famiglia, anche se non praticante, è sempre stata aperta ai valori dell’esperienza cristiana. Però l’annuncio più forte l’ho avuto nello scoutismo, specialmente nella vita in clan da ragazzo grazie alle route di strada e in generale nel servizio. Il nostro fondatore dice che “la vera felicità è procurare la felicità degli altri”: sono molto d’accordo perché la interpreto come un servizio al prossimo. Invece da capo penso che preparare una proposta di fede per dei ragazzi ti metta molto in discussione perché prima di fare delle proposte a loro devi capire cosa c’entra quella cosa con la tua vita. In più in ambito educativo sei spronato a crescere tu come persona: a volte mi sono accorto di non essere alla loro altezza, nel senso che la tua proposta e il tuo esempio non sempre bastano. Da qui la capacità di dire il proprio sì e di affidarsi ad Altro, con la consapevolezza di continuare il lavoro personale. Sono limitato ma ugualmente contento di dire di sì.
CN: Mi ha insegnato a sapermi adattare in ogni situazione. Ogni tanto noi scout ci facciamo pochi problemi se ci manca qualcosa, se non è tutto perfetto. Nella promessa scout, poi, ho giurato di fare del mio meglio e così nel matrimonio, nel servizio, nel lavoro ho sempre cercato di rispettare quella promessa. Dal punto di vista della fede è uguale perché è trasversale, anch’essa accompagna la famiglia, gli impegni e tutto il resto.

Cosa si può migliorare nella vita degli scout?
AZ
: Un rischio che abbiamo noi, come anche le altre associazioni, è di diventare autoreferenziali; sia i singoli gruppi rispetto all’associazione, che l’associazione rispetto alla vita diocesana. Un altro aspetto è quello che può essere definito la cura del pensiero associativo: a volte percepisco un gap tra i livelli associativi più alti e i singoli gruppi. Colmare questo gap significa che ogni singola persona si senta importante all’interno di questo percorso.
CN: Condivido quanto detto da Andrea, ogni tanto capita di isolarti dal contesto diocesano, comunale… abbiamo un occhio che guarda poco lontano. Quando sei molto preso dalle cose che fai rischi di perdere di vista ciò che succede nel contesto generale. Magari si potrebbe pensare ad un tavolo di coordinamento di attività che fanno le stesse iniziative. Da questo punto di vista la rinnovata Associazione delle aggregazioni laicali può essere d’aiuto.

In Diocesi siete tantissimi, ci sono addirittura liste di attesa per iscriversi ai lupetti. Come vedete la situazione dell’Agesci nei nostri territori?
AZ: I gruppi sono numerosi, specialmente quelli cittadini. L’associazione è ancora in crescita, forse perché abbiamo la capacità di intercettare anche quelle famiglie che non sono vicine alla chiesa ma riconoscono un valore nel Cristianesimo o comunque nella proposta scout. Questo fa sì che si avvicinino tante persone diverse, pur mantenendo un cammino educativo ed una proposta di fede ben precisa.
CN: Le liste di attesa da un lato mi fanno piacere, dall’altro mi rendono triste. Felice perché c’è tanta richiesta, specialmente nei lupetti. Triste perché siamo pochi capi e di conseguenza riusciamo a prendere pochi bambini. La proposta, infatti, è educativa, non è intrattenimento. Non possiamo abbassare il tiro e non tutti sono fatti per essere educatori. La comunità capi deve essere garante di questa capacità di trasmettere l’educazione e la fede. Non è che aumentando il numero dei capi si fa il bene dei bambini.

Cosa pensate del responsabile che avete al vostro fianco in questo cammino?
AZ: Stimo molto Chiara, già la conoscevo perché abbiamo avuto modo di lavorare assieme. In generale penso che sia molto utile condividere la responsabilità in due, perché ci si aiuta nel leggere le situazioni che si pongono in zona. È bello non essere soli.
CN: È un adorabile imbroglione. È molto profondo in quello che fa e collaborativo e poi alla fine riesce sempre a incastrarmi… Scherzi a parte gli voglio molto bene! È molto comunicativo e sarà bello fare servizio con lui.