Il 25 aprile è una ricorrenza che è stata spesso onorata con estrema dignità e anche con giusto e grande orgoglio dalla classe dirigente che fece la Resistenza e pose le basi politiche per creare la Repubblica. Fu una minoranza coraggiosa che restituì all’Italia, frastornata dalla guerra, l’indipendenza nazionale, l’onore e la libertà. Ultimamente si sente spesso il paragone tra la ricostruzione che siamo chiamati ad affrontare in questa emergenza incredibile della nostra storia e quella avvenuta dopo la guerra. Ci sono state raccontate storie di uomini, imprenditori e non, che con la loro “risposta creativa” agli eventi drammatici e ai bisogni del tempo hanno pervaso incessantemente tutti i settori del tessuto sociale, da quello educativo e sanitario, a quello economico e politico. Nonostante tutti gli ostacoli che stiamo affrontando anche oggi possiamo rintracciare questo filo. Gli imprenditori che si stanno riorganizzando per rispondere a un bisogno nuovo, i medici e gli infermieri in prima linea nell’affrontare l’emergenza sanitaria e i donatori che desiderano sostenerne le spese, la passione educativa di tanti insegnanti di oggi, sono solo un piccolo esempio. Se pensiamo a come sarà l’Italia del dopo virus dobbiamo auspicare un nuovo inizio che abbia come base queste esperienze vissute di “bene”. Come ha detto il cardinal Matteo Zuppi, quello che stiamo vivendo è infatti “un’epifania del male che supera tutti i confini e i muri dietro i quali pensavamo essere tranquilli”; per sconfiggere quel male ci vuole un “bene” potente e gratuito, disposto a scendere in campo come si va ad una battaglia. Oggi, ad esempio, questa battaglia si sta combattendo anche nelle sale di terapia intensiva. Occorre imparare da quello che accade e bisogna cominciare a pensare ora alla ricostruzione. Abbiamo l’opportunità di attuare radicali cambiamenti di rotta come, ad esempio, l’impegno a ridurre le grandi disuguaglianze. Papa Francesco, nella sua omelia di domenica 19 aprile, ha ricordato come «Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente. […]Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità! […] Senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno.». Ma per fare tutto ciò sarà importante non dimenticare quanto è successo in questi giorni, e cioè la ripresa di un’esperienza umana vera, quella di chi ha costruito le fondamenta dell’Italia repubblicana. La scoperta del bene comune non è un incitamento generico, ma ciò che di più vero ci stanno mostrando questi giorni difficili.

Mons. Giovanni Mosciatti