Ogni Natale è diverso dagli altri e questo, in particolare, sarà probabilmente il più difficile per molti, se non per tutti.
Sarà un Natale meno scintillante ma non sarà un Natale meno autentico: abbiamo la possibilità di essere davanti a quello che conta realmente, a ciò che ci rende uniti con chi amiamo, a ciò che è davvero indispensabile. Non potere essere insieme fisicamente, tutti, è un sacrificio, una sofferenza che nessuno può sottovalutare, perché tutti sentiamo la mancanza di chi amiamo. E a colmarla non basta ricordarci reciprocamente che questo disagio lo abbiamo già sperimentato quest’anno nelle celebrazioni liturgiche pasquali, o ripeterci qualche parola di conforto. Perché ciò di cui abbiamo bisogno non è un discorso ma Uno, Uno presente qui ed ora, Uno che risponda con il suo esserci al mio cuore, alla mia attesa, al mio bisogno, al bisogno di ogni uomo, e che proprio per il fatto di essere presente mi fa stare dentro la circostanza non da rassegnato ma da protagonista. L’attesa di una novità radicale e definitiva in una situazione di oppressione e di affanno era la condizione del popolo d’Israele, descritta dal profeta Isaia tanti secoli fa.
Ma è anche la condizione di ciascuno di noi, delle nostre comunità, delle nostre famiglie, della nostra società. Una condizione resa ancora più precaria dalla crisi sanitaria e sociale che stiamo attraversando e che ci ha messo di fronte, una volta ancora, alla nostra vulnerabilità di fronte agli eventi. Come è importante guardare alla nostra storia per imparare. In questi giorni ho potuto conoscere le vicende della terribile pandemia di Spagnola che perversò in tutta Europa tra il 1918 e il 1920 ed in particolare del nostro carissimo don Bughetti e dei suoi ragazzi di Santa Caterina.
Ringrazio di cuore la nostra Laura Pantaleoni che ha reso disponibile in queste pagine la vicenda drammatica di Edoardo e del suo “volo”. Veramente oggi come allora la luce del Mistero incarnato squarcia le tenebre. L’attesa diventa inno di lode e ringraziamento.
Nella grotta di Betlemme, in modo paradossale, risplende tutta la luce che rischiara la nostra finitudine e vulnerabilità. Percepiamo certamente la nostra debolezza di fronte alla potenza della nascita del Salvatore, che non ha esitato a farsi piccolo tra i piccoli per venire in mezzo a noi, eppure il Natale non è il ricordo di un lontano passato, ma una Presenza che accade in noi. Egli è presente qui e ora: qui e ora!
Tutto deriva da qui, perché tutto cambia. La Sua Presenza implica una carne, implica una materia, la nostra carne. Dice Sant’Agostino: “Quale grazia più grande Dio ha potuto far brillare a noi? Avendo un Figlio unigenito, Dio l’ha fatto figlio dell’uomo e così viceversa, ha reso il figlio dell’uomo figlio di Dio!”
“Salviamo il Natale”, tante volte abbiamo sentito questa frase ma in questo tempo è importante comprendere che in realtà è il Natale che salva noi. È Gesù Bambino che è venuto perché possiamo avere la vita, in questo momento, in cui sembrano prevalere la sfiducia e la fatica. Con Gesù la vita riparte. Perché è Lui la vita.
Consapevoli di tutto questo, prepariamoci a festeggiare il Natale nel suo vero senso come inizio della nostra salvezza. La presenza di Cristo, nella normalità del vivere, implica sempre di più la commozione della Sua Presenza che diventa commozione nella vita quotidiana. Non c’è niente di inutile, non c’è niente di estraneo, nasce una affezione a tutto.

Monsignor Giovanni Mosciatti,
Vescovo di Imola