“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.” (Is 9, 1-2)

Questa notte, queste parole ci mettono davanti alla più straordinaria, consolante, inattesa – per quanto corrispondente al cuore – notizia, che la storia abbia mai ricevuto: è nato per noi un bambino, Dio si è coinvolto carnalmente con noi, mostrandoci visibilmente il suo amore e la sua tenerezza misericordiosa, riaprendo ad ognuno una strada di speranza nell’oggi e per l’eternità. Da duemila anni l’annuncio della salvezza, tanto impensabile dall’uomo quanto reale, è per ciascuno di noi. È alla portata di tutti, nessuno escluso.

Questa è la «buona notizia» del Natale. Non si tratta di parole buone, ma l’incontro con una realtà umana, carnale, che sfida il nulla che avanza e consente di guardare tutto se stessi – così come si è – senza vergogna, perché Gesù di Nazareth non si è vergognato di entrare nella nostra carne diventando uomo.

Il Natale è quel bambino in fasce che ci dice: “Non ti accorgi che sono diventato bambino proprio per mostrarti tutta la preferenza che io ho per te?”

Il dramma reale è che pur continuando ad usare parole cristiane, compiere gesti cristiani, appellarsi a valori cristiani questo avvenimento rischia di essere per molti sempre più vuoto di contenuto e di esperienza reale.

Quando qualche settimana fa la Commissione europea ha proposto di sostituire – nel formulare gli auguri – l’espressione “Buon Natale” con quella generica di “buone feste” e questo per non offendere la sensibilità di coloro che non si riconoscono nei valori della tradizione cristiana è apparso chiaro che non è più evidente la coscienza di quello che celebriamo in questi giorni.

E così, difronte alle difficoltà grandi, enormi che viviamo come ad esempio la pandemia e le grandi sofferenze che ha provocato, il dramma è appoggiare la nostra consistenza su quelle deboli e inadeguate capacità che ci caratterizzano e che invece tante volte stimiamo assolute, con la pretesa che risolvano definitivamente il dramma umano!

Siamo chiamati invece a guardare quella radicale inquietudine che costituisce l’essenza dell’essere umano e che sospinge a cercare, dentro la problematicità, una certezza e una vera risposta.

“Ciascun confusamente un bene apprende/ nel qual si queti l’animo e desira:/per che di giunger lui ciascun contende” ci ricorda Dante. Tutti segretamente attendiamo questo bene in cui il nostro animo trovi quiete.

Ma questo bene non possiamo pensarlo fuori o a lato dalle circostanze della vita!

Questi giorni non sono per dimenticare ma per riconoscere ancora una volta, nel Natale, il segno che tutti, più o meno confusamente aspettano, il compimento imprevisto del nostro desiderio.

Il cristianesimo è una presenza dentro la nostra esistenza, una presenza che assicura un cambiamento inimmaginabile. Non c’è ostacolo che tenga davanti alla Sua iniziativa: scetticismo, incapacità, malattia, circostanze. E’ veramente la salvezza della vita.

La salvezza non è qualcosa di lontano dalla nostra vita, è la cosa più vicina. Dio ha vinto la lontananza. Una cosa che sarebbe rimasta lontana da noi, o che avrebbe riguardato soltanto il futuro, si è resa presente. E noi siamo qui proprio perché si è resa presente. Dobbiamo proprio renderci conto che la salvezza ha cominciato a entrare nella carne della nostra vita e di come la riempie già di luce, di pienezza, di gioia, di gratitudine! Se la consapevolezza di una Presenza che è entrata nella nostra vita viene meno, la salvezza ci sembra lontana, e allora prevale in noi tutto il resto, i progetti o i rimpianti, le misure e le immagini.

Invece, quando domina l’incontro, possiamo dire, in un senso vero, compiuto, quello che diceva S Gregorio Nazianzeno: “”Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere.

Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole … e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita.”

La salvezza non è un discorso, o parole vuote. Il cristianesimo non è un discorso, non è un elenco di cose da fare, ma un avvenimento. E allora cominciamo ad avere uno sguardo positivo su tutto! La salvezza è quello sguardo che ha raggiunto Maria, Giuseppe, i pastori e che ha raggiunto anche noi, che rende la vita diversa e ci fa guardare ogni cosa con una positività ultima. “Il mio cuore è lieto perché Tu, Cristo, vivi.”

Dobbiamo proprio lasciarci afferrare dallo stupore dei pastori quella notte, lasciarci colpire dalla fede dei primi che hanno seguito Gesù. Come è interessante la frase di don Giussani che accompagna il tradizionale Volantone di Natale di quest’anno: “Quando Giovanni e Andrea hanno trovato Cristo, non capivano l’aldilà, cosa volesse dire il paradiso, ma avevano lì qualche cosa che era come un paradiso, un pezzo di paradiso: era un pezzo di qualcosa d’Altro. C’è già, è un presente. Perciò la fede è accogliere, riconoscere un presente.” Gesù, piccolo bambino, presente in mezzo a noi.

Monsignor Giovanni Mosciatti,
Vescovo di Imola