Riportiamo il testo della lectio divina tenuta dal vescovo diocesano, monsignor Giovanni Mosciatti, a Lugo il 21 ottobre e in cattedrale lunedì 24 ottobre. La lectio prende le mosse dalla lettura del brano del Vangelo secondo Luca (Lc, 10, 38-42), punto di partenza di una riflessione sul secondo anno di cammino sinodale

Nell’iniziare il nostro cammino nella meditazione del brano di Luca che abbiamo letto occorre che abbiamo un ascolto vero, che è sempre il frutto di un silenzio, un silenzio che ascolta, che desidera la vita da un Altro.
Perché ci sia in noi il silenzio che domanda, che mendica, in fondo basta un attimo di coscienza della nostra distrazione, della nostra superficialità, che sia un attimo di dolore, di umiliazione, come quando Marta si è sentita rimproverare da Gesù che in lei c’era troppo rumore, troppa agitazione, troppa pretesa, troppo “sapere già cosa era necessario”. Ecco: è questo il punto! Manchiamo di silenzio, di ascolto, di desiderio quando in noi domina la pretesa di sapere già ciò che è necessario, la pretesa di vivere già ciò che è necessario, ciò che ci basta, a me e a tutti.
La vita, anche agitata, anche disordinata, entra nel silenzio quando ascolta ciò che le è necessario, quando si lascia dire, come Marta quel giorno, che «una sola cosa è necessaria», che c’è una sola «parte migliore» che non viene mai tolta: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno [una sola cosa è necessaria]. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Certamente Marta, dopo il richiamo di Gesù, è rimasta lì, colpita e ferita da quella parola. E così è tornata al focolare, ai cibi che stava cuocendo, alle scodelle che stava mettendo in tavola, a servire tutti quegli ospiti che erano venuti con Gesù a invaderle la casa. Però non ci è tornata come un cane bastonato. Gesù non bastona nessuno. Gesù educa, Gesù rivela sé stesso e rivelando sé stesso ci rivela a noi stessi. Marta è tornata in cucina ferita, certo, ma sentendo subito in sé che quella ferita le faceva bene, spurgava un’infezione che le avvelenava il cuore, la vita, i rapporti. C’era qualcosa di sbagliato, di disordinato in lei che l’aveva portata ad arrabbiarsi anche con Gesù, cosa che mai avrebbe voluto prima di quella sera, prima di quella scenata. Marta quella sera non se ne va sbattendo la porta. Tace. E lascia che sia la parola di Gesù a lavorare in lei, a lavorarla dentro, come un aratro che rende feconda la terra, capace di accogliere il seme, capace di portare frutto.
Abbiamo bisogno del silenzio di Marta per accogliere fino in fondo la presenza di Cristo, che è arrivato, sta lì seduto in casa nostra a parlare, ad aspettare di cenare con noi, perché ci è amico, ci vuole così bene da aver scelto la nostra casa, la nostra vita, il nostro cuore, per riposarsi nel corso della sua missione di salvezza del mondo intero, per redimere l’umanità intera! Viene a stare in casa mia!
C’è una bellissima strofa di un inno latino per la memoria di santa Marta che è una preghiera alla santa perché condivida con noi la sua amicizia con Cristo: “Oh felice ospite del Maestro, / fa’ che i nostri cuori siano ardenti, / affinché siano per Lui costantemente / una dimora di grata amicizia”. Il Figlio di Dio, incarnandosi, è venuto a chiamare i nostri cuori ad essere per Lui «dimora di amicizia». Questo non solo nel cuore di Maria sua Madre, ma in ogni cuore umano raggiunto dalla sua presenza e dal suo amore, anche il cuore dei peccatori, come quello di Zaccheo che Gesù chiama ad accoglierlo in casa. Dio viene a fare della nostra vita la dimora della sua amicizia.
“Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Certo, come abbiamo visto, all’inizio Marta ha rimuginato su quelle parole mettendo l’accento sul rimprovero che ha percepito. Però si rendeva conto che rimanere fissata su quelle cose, la rendeva solo più inquieta e agitata. Anche noi, quando ci raggiunge un giudizio, uno sguardo che ci rivela una posizione non vera nella nostra vita, un giudizio che ci corregge, che spesso sul principio non ci è chiaro, è normale che ci ferisce. Ma è come quando si riceve un’iniezione, la puntura ferisce ma poi risana. Cosa ha iniettato Gesù in Marta? «Una sola cosa è necessaria», «di una cosa sola c’è bisogno». Quelle parole le hanno potuto fare bene, calmarla, consolarla e renderla gradualmente più felice, di una gioia nuova che non veniva da lei, ma dalle parole di Gesù. Il senso profondo di quella parola è che solo Gesù risponde al desiderio fondamentale del cuore e della vita: il desiderio di unità, il desiderio di trovare un senso che tenga insieme tutto, che ci tenga insieme tutti, che salvi la comunione, in cui ci sentiamo abbracciati, come l’abbraccio del Padre buono, quello che riaccoglie con gioia infinita il figlio prodigo che torna a Lui.
Gesù offre a Marta questa parola che la ricompone tutta nell’unica cosa necessaria che è Gesù stesso. Sua sorella Maria lo stava già accogliendo, e forse suo fratello Lazzaro, e i discepoli che sono arrivati con Lui a riempirle la casa. C’era già tutto un popolo che condivideva l’unica cosa necessaria che Gesù ora offriva a Marta. E noi, e tu, e io? Quando questa parola viene a raggiungerci, quando ci ha raggiunto e continua a raggiungerci sempre di nuovo, sempre nuova, pensate con che immenso popolo di persone la condividiamo. Duemila anni di cristianesimo, di santi e peccatori, di peccatori santi. Bastano due o tre persone che scoprono di condividere che Cristo è la risposta unica, totale e universale al bisogno del cuore umano per riempirci di stupore, di stupore che questa coscienza accada a noi, che accada a ognuno di noi. Che stupore e che responsabilità! Ci è donato gratuitamente ciò che tutti, assolutamente tutti, attendono.
Attenzione però perché questa parola è una Realtà presente e chiede che l’accolga io, altrimenti è inutile. Dobbiamo allora aiutarci a capire, come questa parola venga a salvarci ora, a ciascuno di noi ora. Mettiamoci nei panni di Marta, quel giorno, quella sera. Pensiamo a come si è ritirata di là, presso il focolare dove cuoceva qualcosa; pensiamo a come ha avuto bisogno di appartarsi con questa parola che la feriva. Poteva sbottare, come forse aveva sempre fatto. Poi tornava alle sue faccende sapendo benissimo che il suo sfogo non avrebbe cambiato nulla. Marta ha cominciato ad accorgersi che quella parola di Gesù la rivelava a sé stessa. La parola di Gesù le rivelava il suo cuore, che è ben diverso, ben più profondo che il suo carattere e temperamento. D’altronde, lei sapeva che a Gesù il suo temperamento piaceva, che Gesù il suo temperamento lo aveva guardato sempre con simpatia. Altrimenti Gesù non avrebbe frequentato così spesso e volentieri quella casa, così dominata da Marta tanto che il Vangelo non dice che Gesù fu ospitato da Lazzaro o Maria, ma da lei. Ma questa parola di Gesù le rivelava il suo cuore, lo metteva a nudo nel suo bisogno profondo, essenziale, totale, e le rivelava che questo bisogno profondo, essenziale e totale, lei lo intasava di cose, di preoccupazioni, di attività, di giudizi, di paure, di irritazioni, preconcetti, antipatie… come noi!
Che cos’è il nostro cuore? Quando Gesù dice che una sola cosa è necessaria, dobbiamo renderci conto che “necessario” traduce un termine greco che di per sé significa “bisogno”, “indigenza”, “mancanza”. Infatti la nuova traduzione dice: «Di una cosa sola c’è bisogno». Noi quando diciamo che una cosa è necessaria pensiamo soprattutto al valore di questa cosa, e che è importante possederla. Ma la necessità di questa cosa è definita dal nostro bisogno, dalla mancanza che ne sentiamo. La necessità assoluta di Cristo per noi vuol dire che è il nostro cuore che ne ha bisogno, il nostro cuore ha bisogno solo di Lui. Senza una coscienza di noi stessi come bisogno, non possiamo accogliere con verità il dono di Cristo, il solo di cui abbiamo veramente bisogno, di cui siamo bisogno. Spesso diciamo al nostro cuore – ti do tutto, ti riempio di tante cose, di tante ansie, di tante vanità, di tanti pregiudizi, di tante idee geniali e di tante sciocchezze… Come puoi aver bisogno d’altro; come può riempirti altro?! Marta quella sera è stata aiutata ad andare al bisogno vero del suo cuore. Fino in fondo al cuore, magari pieno di irritazione, di risentimento, d’ira.
Marta quella sera ha veramente incontrato Gesù. Lo conosceva forse da tempo, lo aveva forse ospitato tante altre volte, ne aveva forse sentito parlare, magari da sua sorella che probabilmente l’ha incontrato prima di lei e che forse era stata la peccatrice che aveva lavato i piedi di Gesù con le sue lacrime e aveva ricevuto il perdono dei suoi peccati per aver molto amato. Lo conosceva, si frequentavano, si apprezzavano, ma Marta, Gesù, non l’aveva ancora incontrato. Per Marta, quel giorno, quella sera, avvenne l’incontro con Cristo, l’incontro come un avvenimento. L’incontro con Cristo che cambia tutta la vita avviene quando un uomo, una donna, si ritrovano davanti a Lui così come sono, con tutta la propria umanità, nel bene e nel male, e non importa se c’è più bene o più male, non importa neppure se c’è solo male, l’importante è che uno si trovi così com’è davanti a Lui, in presenza di Lui. Uno può essere purissimo come Maria Vergine, o un mascalzone come Zaccheo e il buon ladrone, o una donna dalla vita disordinata come la Samaritana, o un rozzo dal cuor d’oro come Pietro, o un fine intellettuale religioso come Nicodemo, o un fariseo fanatico e violento come Paolo… Non importa! L’incontro avviene quando un uomo, una donna, così come sono, si trovano di fronte a Lui e in quel momento Gesù riesce a far penetrare nel cuore di questa persona, anche solo con un sussurro, magari solo con uno sguardo, il grande annuncio che tutta la vita attende: «Solo io ti sono necessario! Tu hai bisogno solo di me! Sono io la pienezza di cui il bisogno del tuo cuore ha sete!». Marta ha vissuto l’incontro con Cristo quel giorno perché quel giorno il suo cuore è stato trafitto nello stesso tempo dalla coscienza della sua vanità, della sua mancanza, e dalla sorpresa che la pienezza di quel vuoto era lì, le era donata, in Gesù. Ognuno di noi deve ripartire da lì, accogliere stasera la parola di Gesù a Marta, o lo sguardo di Gesù a Pietro – è lo stesso, perché si tratta sempre e solo dell’avvenimento di un incontro che viene ad affermarsi sempre di nuovo come l’unica cosa di cui ha bisogno il cuore, il nostro cuore e il cuore di ogni uomo.
Occorre che ci lasciamo guardare da Cristo e a lasciarci dire, con le parole con cui ci ha incontrato un giorno, che il nostro cuore ha bisogno di una cosa sola: di Lui presente.
Gesù ripete a Marta due volte il suo nome. Che attenzione le esprime! Che stima! È proprio come quando Dio chiamò Abramo per chiedergli di sacrificare Isacco, o quando chiamò Mosè dal roveto ardente, cioè nei momenti cruciali della storia della salvezza. Oppure, è come quando Cristo chiamò Saulo di Tarso, tutto lanciato nella sua folle missione di persecutore: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Anche Marta si trova davanti al Dio che ti prende là dove ti sembra di possedere tu la tua vita, e proprio lì ti chiede una preferenza per Lui. Abramo in quel momento era sicuro di possedere la sua discendenza per sempre. Mosè incontrava Dio nel roveto ardente, e soprattutto Saulo era sicuro che stava facendo ciò che è più giusto e vero, ciò che un uomo può fare di più giusto e di più vero. È proprio lì, laddove ti sembra di possedere tu la tua vita, proprio lì, che ti chiede una preferenza per Lui. Anzi, più che chiedertela, te la propone. E c’è subito un’attrazione misteriosa in questo proporsi di Dio come il Tutto della tua vita, come la Vita della tua vita. Per cui, Abramo obbedisce persino alla proposta di sacrificare suo figlio; Mosè si toglie i sandali e si avvicina al roveto ardente; Saulo si lascia condurre come un bambino ad affidarsi proprio alla piccola comunità cristiana di Damasco che voleva distruggere. Per Marta è la stessa chiamata, calata nella sua quotidianità, ma è la stessa chiamata. Anzi! Per Marta la chiamata è ancora più straordinaria, perché l’Eterno non la chiama dal Cielo o da un roveto ardente, né dal monte Sinai, ma è lì seduto in casa sua, è lì che parla, un uomo come noi, arrivato stanco e sudato, coi piedi impolverati, e che poi si metterà a mangiare e bere come noi. Questo, è più straordinario del roveto ardente; più straordinario del monte Sinai che fuma e trema, e fa tremare. E’ più straordinaria la proposta come Dio ce la fa in Gesù, nella carne, nella quotidianità della nostra esistenza umana. La cucina di Marta, come la cameretta o la grotta della Vergine Maria a Nazaret, sono un luogo più sacro che il querceto di Mamre per Abramo, che il Sinai per Mosè, che l’Oreb per Elia. Perché, mai Dio era stato così presente come in Gesù Cristo.
E così, per Marta inizia un cammino, una sequela. Gesù è Tutto proprio per lei! Quando Cristo si rivela a noi come l’Unico necessario, come l’Unico di cui abbiamo bisogno, questo chiede anzitutto una decisione. Perché se questo è vero, che di Lui solo ho bisogno, allora non posso più staccarmi da Lui. Non posso non verificare questa cosa. Altrimenti rischio di tradire me stesso, tradire tutta la sete di felicità, di verità, di bellezza, di amore con cui il mio cuore mi tormenta fin dalla nascita. Se non verificassi la totalità di Cristo per me, tutta la mia vita vivrebbe con un’ombra di tristezza, come la tristezza del giovane ricco, un’ombra che renderebbe grigio tutto. Per quel giovane era avvenuto l’incontro, lo sguardo di amore di Gesù per lui, e anche a lui Gesù ha detto, con altre parole che a Marta, ma è sempre lo stesso: “Solo io ti posso bastare! Solo di me ha bisogno il tuo cuore!”. Il dramma di questo giovane fu di non seguire Cristo, di non stare con Lui, di non riconoscerlo davvero come l’unica cosa di cui aveva bisogno.
Una cosa importante. Quando Gesù ha detto a Marta: “Tua sorella ha scelto la parte migliore”, non l’ha detto per dirle: “Guarda come è più brava lei di te”; gliel’ha detto per creare una compagnia con sua sorella sulla parte migliore, cioè come un modo di stare con sua sorella, come un rapporto che verificasse questo fra di loro, cioè ha creato fra loro una vera fraternità, una vera comunità, le ha fatte diventare fraternità cristiana. Il fatto che mia sorella ha scelto ciò che è più necessario a me, questo che mi fa vivere una vera fraternità con lei e fa che il rapporto con mia sorella non sia più un luogo di competizione, ma proprio di condivisione di Cristo. Il fatto che mia sorella sia più avanti di me in questa verifica è un dono per la mia vita, cioè fa avanzare di più anche me. Ed è proprio questa la grande bellezza della comunione cristiana, avere in comune anzitutto Cristo, l’unica cosa di cui il cuore ha bisogno.
Quanta strada dobbiamo fare su questo! Ma non perdiamoci d’animo, siamo in cammino, un cammino insieme, sinodale, con Colui che è la pienezza della nostra vita.

Mons. Giovanni Mosciatti,
vescovo


L’icona biblica di Marta e Maria ci accompagnerà in questo secondo anno di ascolto del cammino sinodale dedicato ai “cantieri di Betania”. Ci aiuterà a trovare l’atteggiamento vero con il quale viverlo. Attraverso gruppi sinodali il più possibile aperti e diffusi sul territorio e anche altre forme di incontro sinodale, si cercherà di intercettare ed ascoltare le persone che nel primo anno non sono state coinvolte e di compiere un cammino. Vi saranno dei “cantieri aperti”, che ogni realtà modulerà secondo le possibilità e le sensibilità. È solo mettendo al centro Gesù che sapremo camminare assieme, perché cercare Lui ci fa ascoltare il nostro prossimo, sentirlo vicino. Siamo sinodali se al centro c’è Gesù!

Il cantiere dei villaggi
Gesù era in cammino con i discepoli. Girando per le strade, per i villaggi, con Gesù, i discepoli prestavano orecchio alle persone che incontravano, immerse nelle mille situazioni della loro esistenza. La strada e il villaggio sono i luoghi dell’incontro con il mondo, con le persone. Il brano del vangelo che questa sera mediteremo ci aiuterà a porci in ascolto vero e paziente di tutti coloro che desiderano dire qualcosa, in qualsiasi modo, alla Chiesa. Il mondo è fatto di tanti “mondi”, spesso impossibilitati o disinteressati a far sentire la loro voce alla Chiesa.
Il cantiere del servizio
L’incontro di Gesù con Marta e Maria Marta ci aiuterà a comprendere la corresponsabilità a cui ognuno di noi è chiamato nella Chiesa. Pensiamo ad esempio a tutti i laici, chiamati a passare dal considerarli “collaboratori” del clero a riconoscerli realmente “corresponsabili” dell’essere e dell’agire della Chiesa. Il “dille dunque che mi aiuti” che chiede Marta, cioè l’appello alla corresponsabilità nel servizio, si deve innestare nella “parte migliore” di Maria, lasciandosi plasmare dalla parola di Gesù: solo così i “molti servizi” di Marta evitano lo stile ansioso e diventano capaci di vera accoglienza.
Il cantiere delle case
«Una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa». La casa di Betania, il luogo in cui Gesù si ristora, è il segno della comunità cristiana, dove Gesù è ospitato come Maestro e come viandante insieme. Per essere davvero “accogliente”, però, alla comunità è richiesto maggiore ascolto del Signore e dei viandanti e minore affanno per le cose da fare. Quante volte da più parti si invoca uno snellimento delle strutture ecclesiali, perché siano più agili nell’annuncio del Vangelo e la loro gestione non appesantisca gli operatori pastorali con l’affanno di Marta. Le strutture dovrebbero essere al servizio della missione e non assorbire energie per la sola conservazione.