Omelia Ordinazione Presbiterale don Riccardo Bacchilega
Imola, Cattedrale di San Cassiano, 25 novembre 2023

Oggi è la festa di Cristo Re dell’Universo. E’ la grande solennità che ci ricorda che Gesù Cristo, redentore dell’uomo è il centro del cosmo e della storia. Un Re davvero ben strano che ha come trono la Croce ma la cui forza è l’amore. Un Re presente nella storia che ci invita a riconoscerlo e a toccare la Sua carne nei poveri, nei sofferenti, nei bisognosi, nei malati, nei carcerati. Gesù nella parabola che abbiamo ascoltato elenca sei opere di misericordia, tutte in successione: ci parlano di un prendersi cura dell’altro, di un amore, in tutte le dimensioni. Ma Egli è anche il nostro pastore, che ci ama profondamente e che, come ci ricorda il profeta, raduna le sue pecore da tutti i luoghi dove erano disperse, le conduce al pascolo e le farà riposare. Andrà in cerca della pecora perduta e ricondurrà all’ovile quella smarrita, fascerà quella ferita e curerà quella malata, avrà cura della grassa e della forte; le pascerà con giustizia.

Carissimo Riccardo, riconoscendo questo amore concretissimo alla nostra vita, che ci precede, che ci accompagna, noi possiamo metterci alla sequela del Buon Pastore ed imitarLo, rispondere di si alla sua chiamata, ad essere come Lui pastori per il Suo popolo.

La gloria e la gioia dell’essere pastori è proprio di servire Cristo e la sua Carne nel mondo. E’ una vocazione bellissima e singolare all’interno della Chiesa, che rende presente Cristo, perché partecipa dell’unico ed eterno Sacerdozio di Cristo, del Suo essere Pastore. Nessuno può assumere la forza rigenerante di questo compito senza la preghiera, senza guardare all’esperienza e all’insegnamento dei santi, senza una vita sacramentale vissuta con fedeltà. Occorre stare con Gesù per poter stare con gli altri. È questo il cuore della missione. E così, nella compagnia di Cristo e dei fratelli ciascun sacerdote può trovare le energie necessarie per prendersi cura degli uomini, per farsi carico dei bisogni spirituali e materiali che incontra, per comunicare con parole sempre nuove, dettate dall’amore, l’esperienza della fede di cui ha sete ogni uomo.

Se desideriamo seguire Cristo, carissimo Riccardo, non dimentichiamoci che questo vuol dire anche prendere la Sua croce, e ritrovarsi a vivere momenti di prova, di difficoltà e desolazione. Ma ti assicuro che è proprio attraverso questi momenti, se siamo legati a Cristo e riconosciamo il Suo amore, pieno di misericordia, possiamo sperimentare la pace e la fecondità della nostra vita.

Tu ben sai che il tempo che viviamo è un tempo che ci chiede non solo di intercettare il cambiamento, ma di accoglierlo con la consapevolezza che ci troviamo davanti a un cambiamento d’epoca, come ci ricorda sempre papa Francesco. Questo ci chiede di non rifugiarci in un mondo che non esiste più, oppure andare dietro all’ultima novità come risolutiva. E così discernere la volontà di Dio significa imparare a interpretare la realtà con gli occhi del Signore, senza bisogno di evadere da ciò che accade e senza l’ansia che induce a cercare una risposta prefabbricata.

Carissimo, la vita di un sacerdote non è anzitutto una funzione. La nostra prima chiamata è alla santità. Essere santi significa conformarsi a Gesù e lasciare che la nostra vita palpiti con i suoi stessi sentimenti (cfr Fil 2,15). Solo quando si cerca di amare come Gesù ha amato, anche noi rendiamo visibile Dio e quindi realizziamo la nostra vocazione alla santità.

Papa Francesco ci aiuta soffermandosi su ciò che sente essere decisivo per la vita di un sacerdote oggi. E ci ricorda le famose quattro vicinanze che nella sua esperienza lo hanno sempre guidato:

Vicinanza a Dio

Senza una relazione significativa con il Signore il nostro ministero è destinato a diventare sterile. La vicinanza con Gesù, il contatto con la sua Parola, ci permette di confrontare la nostra vita con la sua e imparare a non scandalizzarci di niente di quanto ci accade.
Senza l’intimità della preghiera, della vita spirituale, della vicinanza concreta a Dio attraverso l’ascolto della Parola, la celebrazione eucaristica, il silenzio dell’adorazione, l’affidamento a Maria, l’accompagnamento saggio di una guida, il sacramento della Riconciliazione, senza queste “vicinanze” concrete, un sacerdote è, per così dire, solo un operaio stanco che non gode dei benefici degli amici del Signore.

Vicinanza al vescovo

Significa imparare ad ascoltare e confrontarsi con gli altri. Consente di rompere ogni tentazione di chiusura, di autogiustificazione. Il vescovo non è un sorvegliante, è un padre, e dovrebbe dare questa vicinanza. Egli stesso può essere strumento di questo discernimento solo se anch’egli si mette in ascolto della realtà dei suoi presbiteri e del popolo santo di Dio che gli è affidato.

Vicinanza tra presbiteri

Le caratteristiche della fraternità sono quelle dell’amore. Innanzitutto a imparare la pazienza, che è la capacità di sentirci responsabili degli altri, di portare i loro pesi, di patire in un certo senso con loro. Il contrario della pazienza è l’indifferenza, la distanza che costruiamo con gli altri per non sentirci coinvolti nella loro vita. Altrimenti si consuma il dramma della solitudine, del sentirsi soli. Ci si sente non degni di pazienza, di considerazione.
Vorrei fare una sottolineatura sul valore della vita comune. Certo, sono sotto i nostri occhi le urgenze di questo momento. Penso per esempio alla carenza di sacerdoti. La vita comune non è innanzitutto una strategia per rispondere a queste necessità. Essa non è neppure, di per sé, solo una forma di aiuto di fronte alla solitudine e alla debolezza dell’uomo. Tutto questo ci può essere, certamente, ma soltanto se la vita fraterna viene concepita e vissuta come strada per immergersi nella realtà della comunione.
La vita comune è un grande aiuto che Cristo dà alla nostra esistenza, chiamandoci, attraverso la presenza dei fratelli, ad una configurazione sempre più profonda alla sua persona. Vivere con altri significa accettare la necessità della propria continua conversione e soprattutto scoprire la bellezza di tale cammino, la gioia dell’umiltà, della penitenza, ma anche della conversazione, del perdono vicendevole, del mutuo sostegno.
L’amore fraterno, per i presbiteri, non resta chiuso in un piccolo gruppo, ma si declina come carità pastorale che spinge a viverlo concretamente nella missione.

Vicinanza al popolo

Il posto di ogni sacerdote è in mezzo alla gente, in un rapporto di vicinanza con il popolo.
La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo. Ci prende in mezzo al popolo e ci invia al popolo, in modo che la nostra identità non si comprende senza questa appartenenza. L’identità sacerdotale non si può capire senza l’appartenenza al Santo Popolo fedele di Dio.
Oggi è importante vivere in stretto rapporto con la vita reale della gente, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. E’ una vicinanza che permette di ungere le ferite e proclamare un anno di grazia del Signore (cfr Is 61,2). Pastori con lo stile di Gesù, che sappiano di compassione; uomini coraggiosi, capaci di fermarsi davanti a chi è ferito e di tendere la mano; uomini contemplativi che, nella vicinanza al loro popolo, possano annunciare sulle piaghe del mondo la forza operante della Risurrezione.
Questo auguro a te carissimo Riccardo, lo auguro a me, a tutti i nostri sacerdoti, diaconi, religiosi e a tutti quelli che il Signore vorrà chiamare numerosi al Suo Santo servizio.