Messa Crismale – 27 marzo 2024
Cattedrale di S Cassiano – Imola

“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18): le parole di Gesù nella sinagoga di Nàzareth, che abbiamo appena ascoltato, segnano l’inizio del Suo ministero pubblico, e già rivelano come il Padre, col dono dello Spirito, ha manifestato che in Gesù “il suo Figlio unigenito, dimora tutta la sua compiacenza” come dice la grande benedizione sull’olio del Crisma.

E con il Sacramento del Battesimo ognuno di noi è stato incorporato a Cristo stesso ed è divenuto una cosa sola con Lui e con tutti i fratelli. Per questo, la stessa preghiera della benedizione del Crisma, può affermare che “l’unzione dell’olio ha fatto riapparire sul volto dell’uomo la Tua luce gioiosa”, la luce dell’essere figli nel Figlio, del poter chiamare Dio, Padre.

Dio stesso rende dunque partecipi del sacerdozio di Suo Figlio tutto il popolo cristiano, a servizio della Chiesa. Nello stesso tempo sceglie alcuni per farne, attraverso l’imposizione delle mani, ministri “del suo ministero di salvezza” (cfr. Prefazio).

Oggi facciamo proprio memoria del giorno in cui il Signore diede ai Dodici il compito sacerdotale di celebrare, nel pane e nel vino, il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue fino al suo ritorno. Soltanto Lui può dire: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”. Il mistero del sacerdozio della Chiesa è che noi, miseri esseri umani, in virtù del Sacramento possiamo parlare con il suo Io: in persona Christi. Egli vuole esercitare il suo sacerdozio attraverso di noi. Questa realtà è talmente grande che abbiamo bisogno sempre di ritornare e di fare memoria di quell’ora in cui Egli ha posto le sue mani su di noi e ci ha fatti partecipi di questo mistero.

Questo ci aiuta a comprendere innanzi tutto che non sono le nostre idee, le nostre sensibilità, o le nostre preoccupazioni a guidare il nostro ministero, ma la sete e la fame di Dio che abita il cuore dei nostri fratelli uomini. San Giovanni Paolo II scriveva nella Pastores dabo vobis (28): “L’obbedienza sacerdotale ha un particolare carattere di “pastoralità”. È vissuta, cioè, in un clima di costante disponibilità a lasciarsi afferrare, quasi “mangiare”, dalle necessità e dalle esigenze del gregge (…) è innegabile che la vita del presbitero è “occupata” in modo pieno dalla fame di Vangelo, di fede, di speranza e di amore di Dio e del suo mistero, la quale più o meno consapevolmente è presente nel Popolo di Dio a lui affidato”.

Papa Francesco nella Lettera Apostolica “Desiderio desideravi” (5) ci rimette difronte al nostro compito: “Il mondo ancora non lo sa, ma tutti sono invitati al banchetto di nozze dell’Agnello (Ap 19,9) […] Non dovremmo avere nemmeno un attimo di riposo sapendo che ancora non tutti hanno ricevuto l’invito alla Cena o che altri lo hanno dimenticato o smarrito nei sentieri contorti della vita degli uomini. Per questo ho detto che “sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione” (Evangelii gaudium, n. 27): perché tutti possano sedersi alla Cena del sacrificio dell’Agnello e vivere di Lui”.

Come è importante che facciamo memoria allora dei segni con cui siamo stati consacrati per essere più coscienti del compito che ci è affidato.

Ricordiamo che le nostre mani sono state unte con l’olio che è il segno dello Spirito Santo e della sua forza. Il Signore ci ha imposto le mani e vuole ora le nostre mani affinché, nel mondo, diventino le sue. E così le nostre mani non sono più gli strumenti per prendere le cose, gli uomini, il mondo per noi, per ridurlo in nostro possesso, ma che invece trasmettano la sua vita divina, ponendosi a servizio del suo amore.

Nel gesto sacramentale dell’imposizione delle mani da parte del Vescovo è stato il Signore stesso ad imporci le mani. E queste mani continuano a sostenerci, non ci abbandonano. Egli ci dà la mano che ci sostiene e ci porta. Non dobbiamo aver paura di guardare a Lui, di stendere le mani verso di Lui. Lasciamo che la sua mano ci prenda, e allora non affonderemo, come è accaduto a Pietro quel giorno sul lago. Ricordiamoci sempre di quella preghiera che sottovoce recitiamo prima della Comunione: “…non permettere che sia mai separato da te”.

“Non vi chiamo più servi, – dice Gesù – perché il servo non sa quello che fa il padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15). Egli si è davvero consegnato nelle nostre mani. I segni dell’Ordinazione sacerdotale sono proprio la consegna di sé che Lui fa a noi: la consegna del libro – della sua parola che Egli affida a noi; la consegna del calice col quale ci trasmette il suo mistero della Sua vita. Ci dona anche il potere di assolvere: ci fa partecipi della Sua misericordia e del Suo perdono.

Non vi chiamo più servi ma amici. Essere sacerdote è essere amico di Gesù Cristo. Amicizia significa comunanza nel pensare e nel volere, nei sentimenti e quindi anche dell’agire. Abbiamo bisogno di conoscere Gesù in modo sempre più personale, ascoltandolo, vivendo insieme con Lui, trattenendoci presso di Lui. Il Vangelo ci dice che il Signore – per notti intere – si ritirava “sul monte” per pregare da solo. Di questa preghiera abbiamo bisogno anche noi, solo così si sviluppa l’amicizia. Tutto il nostro darci da fare resta senza frutto e perde efficacia, se non nasce dalla profonda intima comunione con Cristo. Il tempo che impegniamo per questo è davvero tempo di attività pastorale, è come la pioggia che può fecondare la terra arida. Quante volte pensiamo che tutte queste cose sono una perdita di tempo rispetto a tutto ciò che ci appare più importante ed utile, ma non è così. Possiamo ripartire solo dall’amicizia con il Signore, tutto il resto viene dopo, come la conseguenza naturale del Suo Amore. Altrimenti saremo come una candela che si consumerà in fretta, un sale senza sapore e un pane senza lievito. Rischiamo di essere indaffarati dai programmi e dimenticano l’Amore della nostra vita. È il Signore a far innamorare le persone che incontriamo, non i nostri progetti.

L’amicizia con Gesù è poi sempre amicizia con i suoi. Possiamo essere amici di Gesù nella comunione con il Cristo intero, con il capo e il corpo. Siamo chiamati a vivere la comunione con il Signore e con le sorelle ed i fratelli che sono la trama del nostro ministero. Per quanto travagliata possa essere la situazione in cui la Provvidenza ci ha chiamato a vivere il Vangelo e ad annunciarlo, le persone che incontriamo devono poter scoprire, incontrando il sacerdote, un uomo capace di incontro, di comunione, di amicizia. È proprio importante allora che proviamo a vivere insieme, a condividere la nostra vita, ad essere vicini, a stimarci, perché possiamo essere sostenuti da Colui che ci ha chiamati ad essere Suoi.

Un’altra cosa importante rivolta specialmente ai diaconi ma valida per tutti. Papa Francesco ha insistito sul servizio come “uno dei doni caratteristici del popolo di Dio”. Il diacono “è –per così dire– il custode del servizio nella Chiesa”, cioè, ha come compito “ricordare a tutti noi che la fede nelle sue diverse espressioni (…) e nei suoi vari stati di vita (…) possiede un’essenziale dimensione di servizio”.

Non dimentichiamo che ogni dono ricevuto è per la missione. Le parole di Isaia che abbiamo ascoltato e che Gesù si attribuisce per descrivere la Sua missione annunciano il dono decisivo dello Spirito. E continuano dicendo: “Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19).

Questo è il frutto della Pasqua: un popolo di discepoli missionari. Nonostante i nostri limiti e le nostre debolezze non risparmiamoci: le donne e gli uomini di oggi ci attendono.

Affidiamo tutto questo alla Madonna del Piratello, nostra Patrona, che esattamente in questo giorno, il 27 marzo 1483 apparve al pellegrino Stefano Mangelli come “l’Immacolata Maria Regina di vita eterna”.

Ci affidiamo a Te Madonna del Piratello, Regina della Pace.

+ S.E. Monsignor Giovanni Mosciatti,
Vescovo della Diocesi di Imola