Era la sera di quello stesso giorno, del giorno di Pasqua. Quei due discepoli di Gesù se ne stavano ritornando al loro paese, ad Emmaus, carichi di tristezza per tutto ciò che avevano visto, per quella morte, per quella tomba. Ma accade un incontro straordinario, un incontro prodigioso, l’incontro con Uno, l’incontro con Cristo. Il cristianesimo è proprio un fatto presente e si comunica come un incontro reale.

Come hanno creduto quei discepoli? Gesù si affianca a loro, cammina con loro, prende il loro cuore ed illumina i loro occhi. Credono per una presenza, una presenza carica di parola, carica di proposta, di significato.

Si diventa cristiani non per eredità o per tradizione ma per un incontro personale con Cristo, vivo, presente. È un’amicizia entusiasmante con Gesù, vivo e presente in mezzo a noi. Siamo amici perché siamo sulla stessa strada, attirati dall’amicizia con Gesù. Un’amicizia carica di promessa, la promessa di una risposta ai desideri del nostro cuore.

Come ci viene incontro Gesù? Come sorge questa vita nuova, che è la vita illuminata dalla fede? L’avvenimento cristiano è il Signore che entra nella vita dell’uomo e nella storia. E io sono cristiano perché Egli, Dio, è presente tra noi e sarà presente tutti i giorni fino alla fine del mondo. Quel bambino diventa grande, muore e risorge, e risorgendo investe la storia irresistibilmente, attraendo a sé gente, la cui unità, con il sacramento del Battesimo, costituisce il Suo Corpo, il Suo Corpo misterioso, il popolo di Dio.

La Pasqua allora non è la festa della primavera, dei fiori o della vita. Ciò che gli uomini hanno fatto a Gesù il venerdì santo è ciò che ogni uomo fa alla propria umanità, fa fuori l’umano, lo crocifigge.

L’uomo fa fuori sé stesso perché non riesce a sopportare la sua stessa fragilità, la sua stessa sete irriducibile di bene, di bello, di giusto e di vero.

Quel mattino, risorgendo dai morti, apparendo ai suoi, il Signore ha cambiato il mondo, ha posto una novità. Ciò che l’uomo odia e uccide, ciò che l’uomo maltratta e umilia, ciò di cui l’uomo si vergogna e nasconde, diventa qualcosa che si può amare. Dove gli uomini vedono la morte, vedono la croce, Dio vede uno spazio nuovo, un sepolcro nuovo, da cui inizia una cosa nuova.

Ecco come è possibile amare sé stessi, ecco come è possibile perdonarsi, ecco come è possibile ricominciare: per il giudizio di un Altro, per l’opera di un Altro, per qualcosa che fa qualcun Altro.

Allora la grande sfida della vita è tutta in questa scelta: continuare a guardare la nostra morte, la nostra capacità di morte – quello che noi abbiamo ferito, umiliato e ucciso – oppure volgere lo sguardo, come la Maddalena nel mattino di Pasqua, a quello che un Altro fa. C’è qualcosa di nuovo che introduce nella realtà una possibilità di vita. Ed appena un istante prima era assolutamente inconcepibile, assolutamente impossibile. Come è accaduto ai discepoli di Emmaus: “Non ci ardeva forse il petto quando conversava con noi?” E questo fatto non è qualcosa che puoi far tu, è qualcosa che entra nella storia, entra nella vita, è una grazia, e apre una prospettiva, una novità.

La Pasqua non è qualcosa che facciamo noi, ma è qualcosa che fa Dio, è l’opera di un Altro che manda a soqquadro la storia. E la cambia. Il Cardinale Pizzaballa ha scritto così alla sua comunità in Terra Santa: “È sulla croce che Gesù ha vinto. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. È vero che sulla croce inizia una nuova realtà e un nuovo ordine, quello di chi dona la vita per amore. E con la Risurrezione e con il dono dello Spirito, quella realtà e quell’ordine appartengono ai suoi discepoli. A noi. La risposta di Dio alla domanda sul perché della sofferenza del giusto, non è una spiegazione, ma una Presenza”.

Ci ricorda Papa Francesco: “Ecco allora che cosa fa la Pasqua del Signore: ci spinge ad andare avanti, a uscire dal senso di sconfitta, a rotolare via la pietra dei sepolcri in cui spesso confiniamo la speranza, a guardare con fiducia al futuro, perché Cristo è risorto e ha cambiato la direzione della storia”.

Egli risorgendo davvero cambia la storia: “Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa”. Così, mentre pensiamo all’Ucraina o alla Palestina, il giudizio non è quello che di decisivo noi possiamo dire a partire da quello che sappiamo già, ma qualcosa di nuovo che accade a Gaza, una novità che si fa strada a Kiev, un fatto che ci costringe a guardare la scienza o la società da una prospettiva diversa. E questo vale anche per un matrimonio, per un lutto, per un tumore, per una scuola. Vale per un lavoro, per la Chiesa, per un nostro amico: il giudizio è il desiderio che ciascuno di noi nutre per Cristo, per la presenza di Cristo, vivo e Risorto. L’unità fra gli uomini ad esempio non coincide con lo sforzo che possiamo fare per andare d’accordo su una certa cosa, ma nasce dal guardare tutti allo stesso fatto, alla stessa cosa che c’è e che accade: la presenza di Cristo. Guardando a lui siamo uniti, una stessa cosa.

L’unica speranza per Gaza e per Kiev, per questo nostro occidente impazzito, non è una qualche idea nuova, ma che qualcuno ricominci a guardare a Cristo risorto presente, ricominci ad avere stupore e domanda per qualcosa di nuovo che fa vita anche dove noi vediamo solo morte. Io mi posso guardare con amore, con simpatia, con misericordia, solo se c’è la Pasqua, solo se c’è la possibilità di una vita laddove dentro di me sperimento solo morte.

“Cristo, mia speranza, è risorto: precede i suoi in Galilea”, abbiamo recitato. Dal mattino di Pasqua Cristo ci precede in tutte le Galilee della nostra vita. Decidere di seguirLo, di stare con Lui e con i Suoi è la grande possibilità di sperimentare la Vita che vince la morte, la speranza per il mondo.

+ S.E. Mons. Giovanni Mosciatti
Vescovo della Diocesi di Imola